sabato 20 dicembre 2014

Novena di Natale 2014 (di Filippo Tucci)


La sveglia suona alle 5,30. E’ un dolce risveglio, accompagnato dalla musica della cornamusa che gira per il paese ad annunciare la Messa della Novena di Natale. Sono le sei del mattino di una fredda alba dicembrina, quando  varco il portone della Chiesa. Tanta gente, tanti giovani, tanti ragazzi. Sono sorpreso da così numerosa partecipazione. Dopo tanti anni don Antonello, il parroco attuale, ha voluto assecondare la richiesta dei Messignadesi di ripristinare la Messa alle sei del mattino e la comunità ha risposto con grande entusiasmo. Ho desiderato e voluto esserci, per una volta almeno, perché il Natale non è solo la festa dei bambini, ma anche di quanti si sentono,  nonostante l’età,  bambini nel cuore e nell’anima.  Alle prime note di “Tu scendi dalle stelle”, che l’orchestrina (guidata da Peppe Barbaro) esegue dall’altare maggiore, sento irrefrenabile un nodo di commozione e il pensiero va indietro a tempi lontani, quando mia nonna Giulia mi buttava dal letto per portarmi con sé in Chiesa (“Veni, levati, sennò u Bombinedu non ti porta nenti”). Non è cambiato molto da allora, il Natale a Messignadi. L’orchestrina che gira per il paese, l’odore dell’incenso e della cera delle candele, le stesse liturgie, la medesima ansia dell’Attesa.  A guardar bene, non sono cambiati neanche i volti delle persone. Sì perché nella nostra piccola comunità, dove tutti ci conosciamo da sempre, non è difficile risalire dai lineamenti delle persone al loro ceppo familiare. Per questo molti dei volti dei presenti alla Messa, richiamano alla mente i loro genitori, i loro nonni, i loro bisnonni. Anche questa è la magia legata a questa festa: rivivere il Natale insieme a coloro che ci hanno preceduto, anelli  – noi come loro – di un’unica indissolubile catena.                                                                                                                     

P. S. – A pensarci bene una differenza c’è. Noi, dopo la Messa, siamo andati al bar a prendere il cappuccino con la brioche alla Nutella, loro (i nostri vecchi) andavano, invece, direttamente a lavorare in campagna.     

FILIPPO TUCCI

Vincenzo Condello e Immacolata Camera


Gruppo di famiglia in un esterno


venerdì 21 novembre 2014

La nostra centenaria Maria Grillo se n'è andata

Conobbi la signora Maria, una mattina di una domenica d’estate di qualche anno fa. Ero, come sempre, alla ricerca di persone che mi potessero aiutare a ricostruire qualche aspetto particolare di fatti o personaggi di questo piccolo paese. Allora aveva già superato i 95 anni ed abitava in una casa nella piazza della Chiesa Vecchia (i messignadesi rifiutano le “logiche” della burocrazia comunale e continuano a chiamarla così). Viveva da sola perché – come diceva lei – non voleva dare “sconzu a nudu”, anche se i familiari sarebbero stati  ben felici di accoglierla in casa loro ed  accudirla. Mi è sembrato di cogliere  nelle sue parole un senso di orgoglio, tipico delle persone  che hanno badato  non solo a se stesse, ma anche agli altri, e il convincimento che la vita è tale finchè si è sufficientemente autonomi. Rimasi sorpreso dalla lucidità dei suoi ragionamenti e dalla sua incredibile memoria. Ad ogni mia domanda rispondeva, snocciolandomi nomi, cognomi, soprannomi, attività, ecc. Insomma una miniera di informazioni. Dopo la chiacchierata, chiedendomi scusa, mi disse che doveva prepararsi  per andare a Messa e, comunque di ritornare quando lo avessi voluto. La incontrai diverse volte, anche se – devo confessarlo – la guardavo ammirato quando passava per le strade di Messignadi dritta, veloce e sicura e soprattutto riconoscendo e salutando le persone che  incrociava. Cara signora Maria, cento anni di lavoro duro e faticoso, insieme alla gioia (anch’essa faticosa) di aver allevato, i figli e accudito nipoti e pronipoti alla fine meritano il giusto riposo e  la riconoscenza, che ora è possibile coltivare solo nel ricordo.

FILIPPO TUCCI

sabato 13 settembre 2014

Il vecchio ponte tra Messignadi e Oppido 1

Non aveva sicuramente alle spalle la nobile storia del Ponte Vecchio di Firenze, né faceva sognare gli innamorati come il Ponte dei Sospiri di Venezia, pur tuttavia per i Messignadesi ha fatto parte della loro piccola storia, permettendo il collegamento pedonale con Oppido. Generazioni di abitanti di questa piccola frazione lo hanno attraversato e tante piccole storie, belle e brutte, si sono consumate lungo quel percorso. Ognuno di noi avrebbe qualcosa da raccontare; a me personalmente piace ricordare la “bontà” dei panini imbottiti di mortadella, che si comperavano nella bottega di Peppe Misale. Erano la colazione dei ragazzi che frequentavano le scuole medie a Oppido, che si consumava nella” sosta ponte” all’andata. Al pensiero, sento ancora il profumo e il sapore di quella mortadella! Ed al ritorno, quando si aveva qualche spicciolo in tasca, si comperava il “cannolo” che si assaporava, con gesti lenti e a piccoli morsi, appoggiati alla ringhiera del ponte. Oggi il collegamento stradale tra Messignadi e Oppido, garantito da un nuovo ponte e da un nuovo percorso, è molto rapido (forse cinque minuti), anche se le condizioni del manto stradale e la manutenzione lasciano molto a desiderare. In questo breve tragitto, un po’ per disattenzione un po’ per i ritmi che la vita moderna ci impone, non si fa caso a quanto ci circonda. Certo l’Aspromonte, visto dal nuovo ponte, ha una maestosità incombente quasi volesse schiacciarti; meno attraente, invece, il resto, oramai ridotto a una discarica a cielo aperto. Aguzzando bene lo sguardo verso la parte superiore della “fiumara”, si notano, a poca distanza, i resti di un altro ponte, il vecchio ponte. Occorre guardare attentamente, perché è confuso tra la boscaglia che lo sta inesorabilmente inghiottendo e rischia di essere definitivamente cancellato. Così come non è rimasta traccia alcuna di quella vecchia strada che conduceva a Oppido. Ma, è possibile rimuovere dalla memoria individuale e collettiva qualcosa che, comunque, è legato (seppur in maniera minimale) alle vicende della nostra comunità? Questo vecchio ponte (costruito ai primi del novecento) è stato, ed in qualche misura lo è ancora, un po’ l’emblema del nostro paese. Ricordo che nel 1951, quando una terribile alluvione sembrava volesse preannunciare l’imminenza del diluvio universale e la natura veniva violentata e sconvolta, il ponte (e fu uno dei pochi) rimase orgogliosamente in piedi, nonostante la violenza delle acque, dalle quali era stato ricoperto. E quale migliore simbolo può rendere l’idea della forza e della capacità di resistenza di un paese che ha, nel corso della sua lunga storia, ha subito e superato cataclismi naturali di ogni specie?  

FILIPPO TUCCI     
   

Il vecchio ponte tra Messignadi e Oppido 2


Il vecchio ponte tra Messignadi e Oppido 3


Il vecchio ponte tra Messignadi e Oppido 4


Il vecchio ponte tra Messignadi e Oppido 5


martedì 26 agosto 2014

Serata d'estate 1

SERATA D’ESTATE 
(Quando l’insonnia, ti fa fare strani incontri)

Era la sera di domenica 6 luglio 2014. Un amico festeggiava il suo compleanno e mi aveva invitato a passare da casa sua per bere qualcosa, insieme ad una simpatica masnada di ragazzotti. Tra una chiacchiera e l’altra si era fatto tardi, mancava qualche minuto alla mezzanotte. Salutai la compagnia e mi avviai verso casa. Mi sentivo stanco e andai subito a letto, sperando in un sonno ristoratore. Niente da fare, Morfeo (dio del sonno) si faceva attendere. Era passata piu’ o meno un’oretta e, stanco di smaniare nel letto, sono uscito in terrazza a fumare (maledetto viziaccio) l’ennesima sigaretta. Appena fuori un cielo stranamente senza stelle e senza luna, un buio pesto. Le uniche luci erano quelle di Piminoro e il faro sulla montagna di Puzzonaro. Volgendo lo sguardo in direzione Oppido-Tresilico (S-O), mi accorsi, non di una luce ma di una massa informe di un color bianco-perlaceo, che rendeva spettrale la collinetta che si erge di fronte alla mia terrazza. Posso descrivervi tutto ciò che mi passò per la testa in quelle frazioni di secondo, prima che riacquistassi totalmente il controllo di me stesso. La prima impressione fu quella di un gigantesco cartellone pubblicitario illuminato da luce algida, tipo quelli che a volte  - viaggiando in autostrada – si stagliano nel buio all’improvviso e ti seguono per chilometri. Da scartare, per ovvie ragioni. Non potevano essere neanche le luci di qualche festa a Oppido o a Tresilico, perché quel giorno non c’era nessuna ricorrenza festiva (la Madonna delle Grazie a Tresilico, con tutto il  suo codazzo di polemiche, c’era stata quattro giorni prima). Un incendio neanche, perché non c’era né fumo, né crepitio di fiamme, né l’odore acre del bruciato. Poteva forse essere la luna, ma non ricordo di aver visto mai una luna con quella forma e quelle caratteristiche, anche se non potevo escluderlo. Suggestionato dalla notizie giornalistiche che parlavano, in quei giorni, di strani avvistamenti  di oggetti non identificati sui cieli della Calabria, mi balenò (ma solo per un attimo) l’idea che potesse trattarsi di qualcosa di extra-terreste o soprannaturale. Non ero, però, sbronzo abbastanza per soffermarmi su queste ipotesi. Superata la sorpresa, recupero il mio telefonino Samsung e tento di fare delle foto. La “cosa” rimase bellamente in posa per qualche minuto, poi  vado dentro casa per recuperare sigarette ed accendino e al mio ritorno era scomparsa. In cielo erano tornate, splendenti più che mai le “vaghe stelle” dell’Orsa.

FILIPPO TUCCI

Serata d'estate 2


Serata d'estate 3


Serata d'estate 4


Serata d'estate 5


Serata d'estate 6


giovedì 22 maggio 2014

Mamma e figli 1


Mamma e figli 2


Mamma e figli 3


Prime comunioni


Inaugurazione della Madonnina in piazza


Messignadesi in Australia


Posa della prima pietra dell'asilo 1


Posa della prima pietra dell'asilo 2


Vincenzina Panuccio


martedì 1 aprile 2014

Il sogno "americano" di Melu

IL SOGNO "AMERICANO" DI MELU                                     

Carmelo era un giovane delle nostre parti, nato a Messignadi, un paesino della Piana. nel 1933. La sua famiglia  non navigava nell’oro, ma se la cavava discretamente con l’ attività olearia ed i piccoli commerci.   Il giovane aveva un carattere gioviale e, come si suoleva  dire una volta ,era di compagnia. A vent’anni, però, è inevitabile che ciascuno pensi al proprio futuro e Melu u’ mignotu – come tutti lo chiamavano – sognava l’America.
Fu così che decise di emigrare negli Stati Uniti.
 Approdò a Kansas City , nel Missouri, dove aveva trovato un lavoro e una bella ragazza di nome Marie, che sposò e dalla quale ebbe tre figli. Da buon calabrese, ligio alle tradizioni, volle chiamare i  figli con i nomi dei genitori, onorando così il padre e la madre. Poi Carmelo e la moglie Marie decisero di trasferirsi nelle città di Amarillo, nello Stato del Texas. Li aprirono una “grocery”,  overo un piccolo supermercato alimentare, anche se Carmelo si dedicava pure alla riparazione delle biciclette. La vita scorreva tranquilla, i ragazzi crescevano bene e seguivano gli studi con molto profitto. Sentiva di avere realizzato il suo sogno giovanile, ma sentiva forte il desiderio di realizzare ora il suo sogno “calabrese”, di tornare  cioè nella sua terra d’origine per qualche tempo, di rivedere i suoi parenti e i suo vecchi amici, di riassaporare gli odori e i colori del paesello dove era nato e cresciuto. Rivivere, insomma, il periodo felice della sua adolescenza e della sua prima gioventù.

Quel giorno -  era domenica  27 novembre 1994 -  non sembrava avere niente di speciale : piu’ o meno la solita routine. I coniugi Surace alzarono le serrande e si stavano organizzando per accogliere gli avventori piu’ mattinieri. D’un tratto fecero irruzione nel locale quattro giovani, uno dei quali ( doveva essere il capo del gruppetto) si diresse verso il dispenser della birra con l’intenzione di rubare  qualche lattina. Nel negozio, in quel momento c’erano solo Carmelo e Marie Surace. Carmelo capì subito le intenzioni del gruppetto : stavano cercando di fare una rapina e sua moglie era in pericolo. Affrontò quindi il capo della banda di teppisti, ma questi estrasse da sotto la giacca un fucile  cal.22 a canne mozze e  gli sparò un colpo che lo lascio’  moribondo sul pavimento. La moglie , nel frattempo,  aveva messo sul bancone i soldi che erano nella cassa, circa 52 dollari e, terrorizzata, stava tentando di usare il telefono, inginocchiata sotto il bancone. Venne freddata da un colpo sparato al volto. I giovinastri scapparono portando via delle birre e i pochi dollari. I corpi dei coniugi Surace vennero trovati poco dopo da un cliente, che avvertì la polizia. Carmelo morì qualche ora dopo e la Polizia arrestò subito l’assassino e i suoi complici. Potrebbe finire qui questa storia triste e amara, ma c’è un appendice della quale si parlò a lungo sui giornali americani e che divise molto la pubblica opinione. Ryan Dickson,  questo era il nome del duplice assassino,  all’epoca dei fatti  aveva appena compiuto i 18 anni (era nato infatti 11 novembre 1976). Dopo tutte le fasi procedurali  previste dalla giustizia americana, ed in particolare dello Stato del Texas, ebbe la condanna a due esecuzioni  capitali, in quanto si tennero due distinti processi, uno per la morte di Carmelo Surace e l’altro per la morte della moglie. La sentenza di condanna a morte sollevò molte perplessità e dibattiti sui mass-media  americani  perché si trattava di un ragazzo, appena maggiorenne, ed anche perché negli stessi Stati Uniti c’è un forte movimento di opinione contrario alla pena di morte.
Respinti tutti i ricorsi e rifiutata la grazia da parte del Governatore, la sentenza venne eseguita il 26 aprile 2007.  Erano passati 13 anni. Ci dicono i giornali che nessuno dei familiari delle vittime volle presenziare, come sarebbe stato loro diritto, alla esecuzione del condannato.  Segno, questo, che  non cercavano vendetta, cercavano solo giustizia e forse erano anche contrari alla pena capitale. Quel che conta, alla  fine, è che tre vite umane  sono state stroncate per 4 birre e 52 dollari, segno evidente che la vita umana, a volte e per qualcuno, non ha proprio alcun valore.

FILIPPO TUCCI


Carmelo Surace (Melu u mignotu)