mercoledì 11 marzo 2015

Messignadi un grande popolo

Non sembra neanche vero perché tutto è successo così in fretta, anzi troppo in fretta. La sera di martedi 3 Marzo poco dopo la solita sigla e i titoli del tg delle ore 20, mio padre si era appena accomodato nel suo studio in mezzo ai suoi amici libri, i suoi amati libri, per confrontare e definire alcune foto storiche che avrebbe voluto pubblicare nel suo blog forse l'indomani. Nemmeno sono passati due minuti e lui dolorante si è alzato con fatica dalla scrivania, siamo accorsi io e mia madre e l'abbiamo aiutato a stendersi sul divano ma subito ci siamo resi conto che la situazione era davvero gravissima, inutili i primi soccorsi, inutile la corsa in ambulanza, mio padre ci ha purtroppo lasciato durante il tragitto per l'ospedale. Le sue ultime parole sono state: "Sto morendo, portami a Messignadi!". Ho incominciato a non capire più nulla (ammesso che ci fosse qualche cosa da capire!) e tutto mi riportava alla morte della mia amata sorella Ilaria: telefonate, pianti, pratiche burocratiche e frasi di cordoglio. Il mio dolore, quello di mia madre e tutto il mondo che nel giro di un'ora tornava a crollarci addosso. Rientrato a casa completamente frastornato ho acceso il pc e ho cominciato a veder circolare su fb stati che annunciavano con tristezza e stupore la morte del mio papà e io stesso ho voluto salutarlo attraverso il gruppo che affianca il suo blog. Prima è stata la volta della camera mortuaria, dove lui disteso col suo abito elegante era ben sorridente, proprio così, sembrava sorridere a tutti coloro che erano giunti a fargli visita e poi il funerale, e naturalmente non potevo non accontentarlo quindi si è svolto nella sua prediletta Messignadi. La mia famiglia ha abitato prima a Como città, poi in provincia di Como e infine a Reggio Calabria ma per lui c'era solo e sempre in testa e in tutte le salse Messignadi. Dopo la morte di Ilaria ormai questo paese era diventato la nostra seconda casa soprattutto nei weekend, il luogo dove mio padre era nato e cresciuto, anzi persino lo stesso giorno della sua morte eravamo la mattina rientrati a Reggio proprio da Messignadi dove avevamo trascorso come al solito il fine settimana. Appena giunto il carro funebre davanti alla chiesa parrocchiale i Messignadesi si sono "riappropriati" di mio padre, un intero paese commosso e addolorato è venuto a rendergli l'ultimo saluto e ad abbracciare noi parenti. In quel momento non ho visto un semplice paesello, una semplice comunità, ma una vera e propria grande famiglia che ha trasformato il nostro dolore nel loro: chi piangeva, chi si toglieva il cappello, chi si stringeva attorno noi, tutti a ripetermi che mio padre era stato un "grande uomo" e che sarebbe tanto mancato, un grandissimo esempio di semplice sensibilità e solidarietà che nelle città ormai si è affievolito. Finalmente ho compreso da dove nasceva l'amore di mio padre per Messignadi e perché esso è stato il suo ultimo pensiero, come tutti i luoghi Messignadi può essere amato oppure odiato, potrà essere reputato bello oppure brutto, ma quando il paese è unito diventa un unico cuore, un'unica passione e naturalmente un'unica voce e quindi un unico "grande popolo". Messignadi ha insegnato a mio padre Filippo come affrontare e amare la vita e a saper valorizzare le cose più semplici, tutto ciò che egli ha fatto durante la sua esistenza lo deve proprio ad esso e soprattutto alla sua bellissima umanità, ecco la ragione per cui ha ideato e creato il blog "Messignadi nel tempo" e condotto la trasmissione "Alla ricerca delle radici perdute" su Radio M Calabria, proprio per fare in modo che Messignadi recuperando la propria storia, la propria identità e la propria dignità, potesse riscattarsi ed essere fiero e orgoglioso di sé senza mai abbassare la testa dinanzi a niente e a nessuno. Questo era il sogno di mio padre e sono contento poiché sono sicuro che i suoi compaesani seguendo anche il suo esempio attraverso tante opere e varie iniziative sapranno rendere Messignadi sempre più "grande". Caro papà ho realizzato il tuo desiderio: ora potrai riposare per sempre in pace nella tua Messignadi.  MIRKO TUCCI

L'ultimo articolo di Filippo Tucci (2/3/2015)

Ho finito di leggere (e rileggere) il libro di Santo Gioffrè "il Gran Capitano e il mistero della Madonna Nera". Ecco il mio commento:
E’ un tuffo all’indietro nel tempo quello che ci propone lo scrittore calabrese Santo Gioffrè nel suo ultimo romanzo: “Il Gran Capitano e il mistero della Madonna Nera”. Gli eventi su cui si impernia la trama del libro sono compresi tra la fine del 1400 e i primi anni del 1500 e si svolgono principalmente nella città di Seminara, sullo sfondo delle tumultuose vicende che in quel periodo hanno insanguinato l’intero Regno di Napoli. Giganteggia la figura dello spagnolo don Consalvo de Cordoba, comandante delle truppe spagnole. La narrazione prende le mosse dalla prima battaglia, svoltasi nel 1495, avvenuta nei pressi di Seminara e nella quale don Consalvo de Cordoba ne uscì sconfitto. Riuscì a salvarsi la vita, grazie all’aiuto prestatogli da una bella signora locale. Dopo quest’avvio non proprio brillante, allo stesso don Consalvo arrideranno tanti successi militari che gli porteranno gloria e fama fino a farlo diventare duca di Terranova-Gerace e Vicerè del Regno di Napoli. Il personaggio certo giganteggia non solo per “il mestiere delle armi” (nel quale è stato imbattibile), ma anche perché usciva dagli schemi correnti di quell’epoca, perché era propenso a gesti di magnanimità e non si abbandonò mai ad atti di gratuita violenza ed atrocità. Si sentiva ” Romano” e doveva piacergli l’antico motto Parcere subiectis et debellare superbos, anche se non riuscì a debellare del tutto i baroni superbi ed endemicamente intriganti. Era dotato inoltre di una religiosità intima e sincera che lo legò indissolubilmente alla sacra Madonna Nera di Seminara. Nel racconto si scoprono le varie sfaccettature di Consalvo de Cordoba che accarezzò perfino l’idea di divenire Re, riconoscendo a se stesso questo diritto per avere, lui e la sua armata, conquistato il Regno di Napoli. Quest’ambizione in realtà rimase allo stato puramente teorico e, vista la situazione storica dell’epoca, non aveva oggettivamente nessuna possibilità di diventare concreta. Le grandi potenze del tempo e soprattutto il suo Re Ferdinando non lo avrebbero mai tollerato. Avrebbe avuto contro anche lo Stato della Chiesa di Papa Borgia, il cui figlio Cesare non andava molto per il sottile con i suoi nemici ed era impegnato a realizzare uno Stato Borgiano che avrebbe dovuto comprendere la gran parte d’Italia, senza contare infine l’avversità dei vecchi feudatari. Sì, forse sentiva attorno a se un diffuso consenso popolare, dovuto al suo essere diverso rispetto agli altri conquistatori, ma non era ancora giunto il tempo in cui i sudditi avrebbero potuto esprimersi sui propri Re. Il fluire leggero e accattivante di questo romanzo di Santo Gioffrè, sorretto da una trama intrigante, non tragga il lettore in inganno; vi sono dei messaggi “criptati” che, se recepiti, sono di un’attualità estrema. Intanto è singolare (ma non troppo) che lungo la vallata del fiume Petrace, teatro di cruente battaglie, non esista una targa, una segnaletica, un cippo che ricordi tali eventi. Allora come oggi, la nostra ancestrale indolenza ci tiene ai margini degli eventi. Potrebbero sembrare cose che non ci riguardano e invece sono parte integrante della nostra storia. Poi a pensarci bene, per la Calabria e per la nostra Piana cos’è cambiato in questi cinquecento e rotti anni? Sono passati i Borboni, i francesi di Gioacchino Murat, i mille di Garibaldi, i Savoia. Ora siamo un popolo sovrano in una Repubblica democratica a suffragio universale, incapaci, però, di essere arbitri del nostro destino. In questo senso ancora una volta la storia è maestra di vita, per cui diventa più pregevole, l’opera di Santo Gioffrè. C’è solo da sperare che qualcuno ne comprenda anche il valore pedagogico e doti le biblioteche scolastiche calabresi di questo ottimo volume.  

FILIPPO TUCCI