Quando la comunità dei Domenicani si insediò nel piccolo convento di Messignadi, era l’anno 1513, entrò subito in sintonia con la popolazione locale che, nei periodi successivi, non avrebbe mancato di dare dimostrazione concreta del suo attaccamento all’istituzione conventuale. L’attività dei frati, sviluppatasi nel tempo, deve essere stata molto apprezzata e proficua, sia sotto l’aspetto religioso che sociale, contribuendo in maniera significativa alla evoluzione del paese. Appare comprensibile, quindi, che quando venne proposto alla venerazione dei fedeli un Santo loro confratello, lo spagnolo Vincenzo Ferrer, i Domenicani trovassero l’assenso incondizionato della popolazione. Il Santo si era distinto nella predicazione, nella santità di vita e nel proselitismo religioso. Certo ci volle del tempo, anni sicuramente, prima che San Vincenzo divenisse il protettore dei Messignadesi, anche perché la comunità aveva già un santo patrono in San Nicola di Myra, al quale era intitolata la locale parrocchia. Questo San Nicola, vissuto nel 300 in terre molto lontane dalla Calabria, anche se molto venerato per i tantissimi miracoli a lui attribuiti, era più che altro retaggio della Chiesa bizantina (legata all’Impero di Bisanzio) il cui rito era stato sostituito da quella romano, solo nel 1478 (trentacinque anni prima). I Domenicani ebbero, perciò, un compito relativamente agevole nel propagare la figura di San Vincenzo (sempre attenti, comunque, a non urtare la suscettibilità dei parroci del tempo) e farlo assurgere al ruolo di "Santo Protettore" del convento, prima, e dei Messignadesi, poi. Tra l’altro si trattava di un Santo relativamente "giovane", essendo stato elevato alla gloria degli altari nel 1455, e che aveva svolto la sua opera di predicazione anche nel Regno di Napoli. Quindi un Santo vicino sia temporalmente che territorialmente. E poi era spagnolo. E in quel periodo la Spagna era la potenza dominante e il Gran Capitano Consalvo de Cordoba era il feudatario del limitrofo Stato di Terranova-Gerace. E’ perciò, probabile che gli Spagnoli non siano stati del tutto estranei all’insediamento in Messignadi dell’Ordine monastico dello spagnolo Domenico di Guzman ed abbiano, in qualche modo, favorito il culto di San Vincenzo Ferreri. La "crescita" del convento si accompagnò di pari passo alla "crescita" della devozione popolare per San Vincenzo, tanto che, attorno al 1580, la struttura conventuale non era più la "chiesuola" delle origini, ma, come si evince dai ruderi ancor oggi esistenti, un imponente complesso cenobitico con una chiesa spaziosa e ben arredata, aperta anche alle funzioni pubbliche. La riprova la si trova in due testimonianze inconfutabili: la prima è la campana grande del convento, datata 1588, la seconda è la statua di San Vincenzo, datata tardo 1500. Evidentemente in quel tempo i frati avevano potuto suggellare il rapporto con la comunità messignadese, coronando così l’attività di proselitismo, iniziato anni prima. Il culto diveniva così "festa" ed ogni 5 aprile, per il convento e per Messignadi, era ricorrenza grande, da celebrare e festeggiare adeguatamente. Mancano, purtroppo dettagli precisi e documentati sulle modalità della festa, che si svolgeva nell’area attorno al convento, con grande affluenza popolare. Sicuramente c’era una fiera, come in tutte le feste, ma non si hanno notizie circa la sua importanza, anche se da tempo immemorabile, il paese era un crocevia di viandanti, sull’asse viario tra la grande Terranova e l’antica Oppido, con relativi commerci e scambi di prodotti dell’agricoltura e della pastorizia locale. Appare abbastanza ovvio, però, che ogni festa potesse avere caratteristiche diverse, determinate a volte dagli eventi calamitosi (purtroppo frequenti), dalle condizioni economiche e dalle situazioni socio-politiche.
Ciò che risulta evidente è che il culto e la venerazione del Santo si tramandava di generazione in generazione e si ampliava anche al di fuori degli stretti confini del paese. Così fu per almeno duecento anni, tanto che San Vincenzo Ferreri, e la sua festa, divennero un elemento essenziale della identità del paese. Il 5 aprile del 1783, però, non ci fu nessuna festa e neanche nessuna messa solenne. I Messignadesi, superstiti del "grande flagello" che in quel nefasto mercoledì 5 febbraio 1783 aveva colpito duramente l’area della Piana, dovevano cercare innanzitutto di sopravvivere alla meno peggio, nonostante i 241 morti, le case distrutte, il territorio sconvolto e devastato, e l’aria insalubre, che ne sconsigliava la permanenza. Eppure in molti rimasero e resistettero, lavorando affinché il paese potesse rinascere e la "memoria" potesse essere preservata. Nel 1784, l’anno successivo al terremoto, si contavano appena 430 abitanti (rispetto ai quasi mille dell’anno precedente), i quali, pur in mezzo a tanto sfacelo, si preoccuparono, né poteva essere altrimenti, di recuperare la statua di San Vincenzo, coinvolta nel tragico destino dei poveri fraticelli e inghiottita con loro dalle macerie del convento, franato nella vallata sottostante. Ritrovarla sarebbe stato un segno di fede, di speranza e di rinascita. A questo compito si dedicarono con forza e volontà, ma la ricerca fu lunga, laboriosa ed infruttuosa. Poi, quasi per caso (o forse per un miracolo) la sacra statua di San Vincenzo riemerse dalla fanghiglia, certamente malconcia, ma pronta a fare da luce e guida al suo popolo. Messignadi aveva ritrovato il suo simbolo e il suo condottiero! La statua, in qualche modo ripulita, fece il suo ingresso in ciò che restava del paese e fu alloggiata presso la chiesa parrocchiale. Da allora in poi la sua sede fu in paese, anche perché il convento non venne mai più ricostruito. Per molti anni San Vincenzo sicuramente comprensivo e protettivo, dovette accontentarsi delle semplici preghiere e di qualche messa cantata, nel giorno a Lui dedicato. Poi lentamente e con gradualità il paese si ripopolò e già nel 1810, gli abitanti erano cresciuti fino a 612 unità.
Il processo di ripopolamento continuò ed ebbe una forte accelerazione nell’anno 1823, toccando la soglia dei 900 abitanti e nel 1875 si attestò a 1.300, raggiungendo il massimo della sua storia. I Messignadesi attribuivano "il loro piccolo miracolo" proprio al loro Protettore, con il quale si sentivano in totale sintonia e che ogni anno onoravano nella maniera più solenne. La festa era stata intanto spostata attorno alla metà di giugno, per non essere d’intralcio all’attività olearia, divenuta nel frattempo, la primaria attività, e che ai primi di aprile era ancora in pieno sviluppo. Quando, ai primi del 1900, ebbe inizio l’emigrazione nelle Americhe, l’effigie del "Santo Messignadese" seguiva i partenti, gelosamente conservata nel portafoglio, insieme alle foto delle persone care. E nel nuovo mondo, di generazione in generazione, si tramandò il culto del Santo ed è bello annotare che quando qualche figlio o nipote di emigrati viene in visita a Messignadi la prima cosa che chiede è "Where's San Bicenzu?" (dov'è San Vincenzo?). In tempi relativamente più recenti (dagli anni cinquanta, alla metà degli anni ottanta) la festa assunse una sua particolare importanza, primeggiando tra i paesi vicini, sia perché venivano le più rinomate bande musicali (quando questo genere era in voga), tra cui si ricorda, nel 1950, la Banda militare del 5°Corpo d’Armata di Napoli, sia per le sfarzose illuminazioni, sia per la grandiosità dei fuochi pirotecnici. Tramontata l’era della musica lirica, Messignadi divenne una piazza famosissima (e in questo fu anticipatrice di una moda ancora viva) per i cantanti di musica leggera che si esibivano a chiusura dei festeggiamenti. Si può affermare, senza tema di smentita, che quasi tutti i cantanti più famosi in quegli anni, hanno calcato il palco della piazza della Chiesa Vecchia. Negli anni settanta, la data della festa fu spostata, dalla metà di giugno alla seconda domenica d’agosto, per consentire la partecipazione ai tanti emigrati che, dall’Italia del Nord e dall’estero, ritornavano d’estate in paese. San Vincenzo, ancora una volta, diveniva simbolo e riferimento di tutti i Messignadesi sparsi nel mondo. Nel 1984, bicentenario del ritrovamento della statua, la Commissione (guidata dall’infaticabile Peppino Surace) accolse il suggerimento di portare il Santo in pellegrinaggio al vecchio convento, sua casa d’origine. Fu così che il 10 agosto, il popolo dei fedeli portò in processione la statua, accompagnandola all’antica dimora, ed ivi svolgendo per l’intera notte, una veglia di preghiera, alla luce delle fiaccole. Certo il culto di San Vincenzo è tutt'ora vivo e la sua festa continua ad essere annualmente celebrata e lo sarà fintantoché in Messignadi durerà la memoria del passato, perché -è proprio il caso di dirlo- senza questa memoria non ci può essere nessun futuro.
FILIPPO TUCCI
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