sabato 26 novembre 2011

Speciale "Terremoto 1783"

LE CONSEGUENZE A MESSIGNADI DEL SISMA AVVENUTO IL 5 FEBBRAIO 1783 (a cura di Filippo Tucci)

LE CONSEGUENZE A MESSIGNADI DEL SISMA AVVENUTO IL 5 FEBBRAIO 1783

Mai, nel corso della storia della nostra Terra, evento fu così catastrofico e sconvolgente per il gran numero di vittime provocate, per gli assetti del territorio profondamente modificati, per i rapporti sociali che cambiavano e per l’economia locale da ricreare ex novo. Occorre, intanto, rilevare che i maggiori danni si registrarono nella Piana, epicentro del sisma, dove i morti sono stati nell’ordine del 30-35% degli abitanti. Per alcuni paesi fu la cancellazione totale; altre città rinacquero dalle macerie, perdendo però l’egemonia esercitata per secoli; altre ancora si ritrovarono a dover assumere un ruolo guida negli anni successivi. Città-Stato, come Terranova, Seminara, Oppido, Santa Cristina, Sinopoli, seppellirono sotto i resti dei palazzi, dei castelli, e delle chiese anche il loro nobile e luminoso passato. In questo contesto di rovine e di disastro, Messignadi non ebbe miglior sorte. Decimata nella sua popolazione, 241 morti su 984 abitanti (che nei due anni successivi si ridussero a circa 430 a causa dell’aria malsana), sfregiata nel suo territorio, interamente distrutte le abitazioni, azzerate le sue attività economiche. Crollò la chiesa di San Sebastiano, sita nel centro dell’omonima via che attraversava il primo insediamento urbano messignadese (ora rione Timpa). In questa stessa area crollarono anche solide costruzioni, come è testimoniato dai basamenti ancora visibili. Stessa miserevole fine fece la struttura conventuale dei Domenicani, tranciata in due da una fenditura, che fece precipitare una parte nella sottostante fiumara della Spilinga. Trecentosettantanni di storia messignadese, giacciono da allora nella melmosa costiera, né miglior sorte ebbero i ruderi del convento, mai adeguatamente esplorati. Un’altra grande fenditura del terreno si aprì nella parte esterna del paese, lato ovest, dove una enorme voragine (Race), partendo  dalla fontana dei monaci, si estese fin oltre la Timpa, interrompendo l’importante strada di comunicazione con Oppido, che da allora fu transitabile solo su un instabile ponticello in legno. A parte questi aspetti, si registrarono altre conseguenze, a seguito del terremoto. Fu infatti  estremamente difficoltoso definire i confini delle vecchie proprietà attorno alle quali si aprirono contenziosi durati lunghissimi anni. Altrettanto arduo fu la individuazione dei legittimi eredi, nei molti casi in cui erano morti tutti i componenti della famiglia proprietaria. Ebbe il suo da fare il notaio di Messignadi Antonino Vorluni, per comporre e dirimere le tante controversie. Come giustamente fa osservare C. Botta nella sua Storia d’Italia: “Quasi tutti i ricchi hanno perduto, quasi tutti i poveri hanno guadagnato”. Insomma il terremoto, come livellamento sociale. Altra considerazione, infine, riguarda gli assetti territoriali che si sono definiti negli anni successivi nella Piana e che hanno ridotto ad un ruolo marginale Messignadi. Se, infatti, prima del terremoto era uno snodo importante nel collegamento Nord-Sud (da Terranova, Polistena verso Oppido, Sinopoli), man mano che sono cresciute per abitanti e d’importanza nuove città (Palmi, Gioia, Taurianova, ecc.) l’asse viario da orizzontale diveniva verticale, isolando totalmente Messignadi. Ciò ha annullato completamente i vantaggi per i commerci ed i traffici d’ogni genere di cui aveva goduto per secoli. Comunque i Messignadesi ben si adattarono alla mutata condizione, se un secolo dopo il “grande flagello” i suoi abitanti erano attorno ai 2.000 e l’economia era in condizioni floride.  

FILIPPO TUCCI
TERREMOTO
 5 FEBBRAIO 1783
descritto
DA MICHELE TORCIA

Nella Calabria gli eccidi sono stati più considerabili, e mortali. Infelicemente la sua penisola stava immediatamente sopra il fornello della mina Volcanica, e più a destra degli Appennini, che a sinistra. Una delle pruove n'è, che l'esterminio delle Città è stato maggiore in questa parte, che in quella: che nell'una gli edifizi sono caduti alla prima scossa, e nella regione meridionale; alla seconda, o alla terza: e questa è la ragione, per cui la mortalità è stata quasi tutta da un fianco, e niente dall'altro degli Appennini. Ecco intanto alcune delle principali Città, e Terre soggiaciute alla furia del flagello: il Pizzo, Briatico, Bivona, Monteleone, situati tutti nel fertile territorio degli antichi Ipponiati; Filogaso, celebre pei suoi fichi, Tropea con tutti i suoi Casali; fra i quali Parghilia crescente per la sua navigazione, Mileto con tutti i suoi contorni, Rosarno, e Galatro, crescenti per la loro Agricoltura, Nicotera, e Gioja, per la pesca, Palmi, e Seminara, floride più di tutte per l'industrie di mare, agualmente che per quelle di terra; verso i monti Sangiorgio, Polistina, Sinopoli, Cinquefrondi, Terranova, Casalnovo, Santa Cristina, S. Eufemia, S. Procopio, Castellace, e tanti altri piccoli villaggi intorno a Oppido. La mortalità in tutti i luoghi accennati è stata grande; quivi anche par che il flagello abbia fissato il teatro della Carnificina. Le persone comode, i benestanti, il Clero, ed i Signori, che non si erano ancora alzati da tavola, gli artigiani, e la servitù colle loro donne, e figliuoli, che erano ritornati alle loro incombenze, sono tutti rimasti vittima della totale rivoluzione del loro suolo.
In generale per tutto dove le famiglie erano addette alle manifatture, son quasi tutte rimaste sepolte co'loro ingegni sotto le ruine: per tutto poi dove trovavansi addette all'agricoltura, o alla pastorale, sono state preservate dall'esterminio. Le umili, e rustiche loro Capanne, i pagliai, e le baracche rurali, sono state l'unico rifugio a'miseri avanzi della strage Cittadina; Questo è quello, che è accaduto alla fertile, ed opulenta Piana coperta di Città, e villaggi popolatissimi, ed industriosi, ed innaffiata da'fiumi, e ruscelli, i quali, come molti paesi, che ne sono bagnati, portano tuttavia il Greco nome, per esempio Metauro, Metramo, Jeropotamo, Calopotamo, Gallico.
Oppido sopra una cresta dell'Aspromonte si è rotto da ogni lato: Terranova sopra un'altra si è slamata nel fiume Marro: S. Anna, e Casoleto da un lato, Soriano, e Laureana dall'altro, han veduto il lor suolo avvallarsi, come anche i terreni di Filarete, e dell'Annunziata bel tenimento di Seminara. I spettatori, che trovavansi sopra i luoghi eminenti, vedevano i picchi, ed i piani de'monti, non altrimenti che le valli, e le pianure delle loro pendici muoversi come lo scioglimento de'ghiacci ne'paesi freddi. I luoghi abitati, dopo qualche tremolio, innalzavano per la caduta de'loro edifizi, colonne di polvere, più o meno dense, a proporzione della loro grandezza. Vi sono in fatti Paesi, dove non è rimasa pietra sopra pietra, e degli abitanti non si son salvati se non quelli, che trovavansi fuori le mura dello loro abitazioni: e talvolta nè pure questo effugio ha bastato. Infelicemente la prima scossa rovesciò gli edifizi sopra gli abitatori o appena, o non ancora alzati di tavola.
Il cominciamento del tremuoto ha scoppiato senza verun precedente segno il Mercoledì 5. di Febbraio. La prima scossa, la più terribile di tutte, e che durò tre minuti, avvenne tre quarti di ora dopo il mezzo giorno; la seconda, quasi egualmente forte a'7. ore di notte; la terza, che finì di abbattere le Città, ed i Villaggi, il Venerdì seguente a 20. Se ne sono contate fino al giorno 3. del corrente Marzo in sì gran numero tra forti, e leggiere che cogli avvisi posteriori parlasi di un tremuoto continuo; ed in fatti una palla messa sopra un piano livellato non trovava fino al detto dì riposo: e l'esperienza era stata ripetuta più volte in vari luoghi. Il loro movimento è stato di ogni genere, di sussulto, ondulatorio, di trepidazione. Non è stato moto della terra, ma un rovescio totale della sua superficie. Tutti gli elementi, e tutte le creature se ne sono risentite. Una dirotta pioggia con venti, e nebbia indicava la piena agitazione del quarto elemento. I pastori, e i fuggiaschi della Campagna sentivano gli aliti tramandati di bitume e di solfo.
Tante aperture, ed oscillazioni della terra ne aveano ripiena l'atmosfera.
In generale per tutto dove le famiglie erano addette alle manifatture, son quasi tutte rimase sepolte co'loro ingegni sotto le ruine: per tutto poi dove trovavansi addette all'agricoltura, o alla pastorale, sono state preservate dall'esterminio. Le umili, e rustiche loro Capanne, i pagliai, e le baracche rurali, sono state l'unico rifugio a'miseri avanzi della strage. Questo è quello, che è accaduto alla fertile, ed opulenta Piana coperta di Città, e villaggi popolatissimi, ed industriosi, ed innaffiata da'fiumi, e ruscelli, i quali, come molti paesi, che ne sono bagnati, portano tuttavia il Greco nome, per esempio Metauro, Metramo, Jeropotamo, Calopotamo, Gallico.
Oppido sopra una cresta dell'Aspromonte si è rotto da ogni lato: Terranova sopra un'altra si è slamata nel fiume Marro.
I luoghi abitati, dopo qualche tremolio, innalzavano per la caduta de'loro edifizj colonne di polvere, più o meno dense, a proporzione della loro grandezza. Vi sono in fatti Paesi, dove non è rimastapietra sopra pietra, e degli abitanti non si son salvati se non quelli, che trovavansi fuori le mura dello loro abitazioni: e talvolta nè pure questo effugio ha bastato.
Lo stesso caso è accaduto agli opulenti Baroni Paparatti di Rosarno, ed a'ricchi Bagalà di Palmi: di questi ultimi sopravvivono soltanto un Prete di Napoli, e un negoziante a Livorno. A Palmi stesso gli Aquini, ed i Cannelodri sono rimasti, fuorchè gli assenti, estinti: tutti poi i Sartiani, e i Grillo a Oppido; i Verga, i Foluri, i Piromalli a Casalnovo.

Il terremoto dell’anno 1783 a Messignadi (di Vincenzo Frascà)

Il terremoto dell’anno 1783, a Messignadi
(Tratto da “OPPIDO Mamertina, riassunto cronistorico di Vincenzo Frascà, edito nel 1930 pagg. 229 e segg.)

“Il vasto fabbricato conventuale fu distrutto dal terremoto del 1783 e la leggenda vuole che la campana di quel convento suoni a distesa la notte di Natale, ad invitare i fedeli alla Messa di mezzanotte. Non si vede sul luogo alcuna campana, ma la tradizione è viva e molti contadini giurano di averla udita suonare a stormo, la notte di Natale. Nei pressi del convento si celebrava la fiera di San Vincenzo, che ricorreva nei primi giorni del mese di aprile. La statua di San Vincenzo, che dopo il terremoto fu trovata incolume, fu portata in Messignadi, dove si celebra ogni anno la maggiore festa in Suo onore. Dalle macerie di quel convento furono estratti anche molti calici, ostensori, una croce astile di argento ed altri arredi sacri, portati alla chiesa parrocchiale di Messignadi. Ed anche la campana piccola di quel convento, ora squilla dal campanile della chiesa di Messignadi. Si racconta che qualche ora innanzi al terremoto del 5 febbraio 1783 due contadini avessero portato ai monaci del convento delle grosse somme dovute per fittanze e che il frate amministratore, dopo aver contato le monete, le avesse disposte a mucchietti di uguale valore sopra un tavolo ingombro di libri. All’indomani del terremoto, ritornati i contadini sul luogo, videro il frate morto con il capo sfracellato presso il tavolo, gli altri frati tutti seppelliti fra quelle macerie e le monete disperse. Si racconta ancora che un frate laico nel momento del terremoto trovavasi ad attingere acqua nei pressi dell’abitato di Messignadi, dalla fontana che tuttavia chiamasi Fontana dei Monaci e che una voragine apertasi improvvisamente l’abbia inghiottito insieme all’asino ed ai barili. Nessuno ha mai pensato al restauro e così ebbe fine quel convento, che per circa tre secoli fu lustro e decoro di quella borgata. Il fiumicello Race o Stizzii che non esisteva si  formò dopo il terremoto ed ora si attraversa su di un ponticello all’ingresso di questa borgata. Sulla via rotabile che va a Varapodio, dove ora si trova il Calvario, sorgeva una bella chiesina, che distrutta dal terremoto del 1783, non venne più riedificata.”

Speciale "Terremoto 1783"

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