LE CONSEGUENZE A MESSIGNADI DEL SISMA AVVENUTO IL 5 FEBBRAIO 1783
Mai, nel corso della storia della nostra Terra, evento fu così catastrofico e sconvolgente per il gran numero di vittime provocate, per gli assetti del territorio profondamente modificati, per i rapporti sociali che cambiavano e per l’economia locale da ricreare ex novo. Occorre, intanto, rilevare che i maggiori danni si registrarono nella Piana, epicentro del sisma, dove i morti sono stati nell’ordine del 30-35% degli abitanti. Per alcuni paesi fu la cancellazione totale; altre città rinacquero dalle macerie, perdendo però l’egemonia esercitata per secoli; altre ancora si ritrovarono a dover assumere un ruolo guida negli anni successivi. Città-Stato, come Terranova, Seminara, Oppido, Santa Cristina, Sinopoli, seppellirono sotto i resti dei palazzi, dei castelli, e delle chiese anche il loro nobile e luminoso passato. In questo contesto di rovine e di disastro, Messignadi non ebbe miglior sorte. Decimata nella sua popolazione, 241 morti su 984 abitanti (che nei due anni successivi si ridussero a circa 430 a causa dell’aria malsana), sfregiata nel suo territorio, interamente distrutte le abitazioni, azzerate le sue attività economiche. Crollò la chiesa di San Sebastiano, sita nel centro dell’omonima via che attraversava il primo insediamento urbano messignadese (ora rione Timpa). In questa stessa area crollarono anche solide costruzioni, come è testimoniato dai basamenti ancora visibili. Stessa miserevole fine fece la struttura conventuale dei Domenicani, tranciata in due da una fenditura, che fece precipitare una parte nella sottostante fiumara della Spilinga. Trecentosettantanni di storia messignadese, giacciono da allora nella melmosa costiera, né miglior sorte ebbero i ruderi del convento, mai adeguatamente esplorati. Un’altra grande fenditura del terreno si aprì nella parte esterna del paese, lato ovest, dove una enorme voragine (Race), partendo dalla fontana dei monaci, si estese fin oltre la Timpa, interrompendo l’importante strada di comunicazione con Oppido, che da allora fu transitabile solo su un instabile ponticello in legno. A parte questi aspetti, si registrarono altre conseguenze, a seguito del terremoto. Fu infatti estremamente difficoltoso definire i confini delle vecchie proprietà attorno alle quali si aprirono contenziosi durati lunghissimi anni. Altrettanto arduo fu la individuazione dei legittimi eredi, nei molti casi in cui erano morti tutti i componenti della famiglia proprietaria. Ebbe il suo da fare il notaio di Messignadi Antonino Vorluni, per comporre e dirimere le tante controversie. Come giustamente fa osservare C. Botta nella sua Storia d’Italia: “Quasi tutti i ricchi hanno perduto, quasi tutti i poveri hanno guadagnato”. Insomma il terremoto, come livellamento sociale. Altra considerazione, infine, riguarda gli assetti territoriali che si sono definiti negli anni successivi nella Piana e che hanno ridotto ad un ruolo marginale Messignadi. Se, infatti, prima del terremoto era uno snodo importante nel collegamento Nord-Sud (da Terranova, Polistena verso Oppido, Sinopoli), man mano che sono cresciute per abitanti e d’importanza nuove città (Palmi, Gioia, Taurianova, ecc.) l’asse viario da orizzontale diveniva verticale, isolando totalmente Messignadi. Ciò ha annullato completamente i vantaggi per i commerci ed i traffici d’ogni genere di cui aveva goduto per secoli. Comunque i Messignadesi ben si adattarono alla mutata condizione, se un secolo dopo il “grande flagello” i suoi abitanti erano attorno ai 2.000 e l’economia era in condizioni floride.
FILIPPO TUCCI
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