Cara vecchia campana,
sei una delle rare testimonianze che ci restano
del passato di questo nostro paese, e di certo, hai accompagnato il popolo
messignadese in tutti gli eventi fausti ed infausti che ne hanno contrassegnato
la storia. Era l’anno 1588, quando sei arrivata tra noi, dopo essere stata
temprata e resa squillante dall’abilità artigiana di Cusmano Saricola. Arrivasti, lucida e brillante, e ti sei assisa in trono come una regina,
insieme alla tua maggior sorella. Dall’alto del campanile del convento di S.
Maria della Palomba, il tuo sguardo dominava la piana sottostante e
l’Aspromonte ti faceva da scudo, mentre il tuo suono gaudioso si spandeva tutt’attorno. Tu vegliavi, materna e
comprensiva, sul paesello che ai tuoi piedi, operoso e pio, attendeva alle
attività quotidiane. Il tuo suono, allegro e vivace, indicava, al levar del
sole, l’inizio di un nuovo giorno e al mezzodì avvertivi che era l’ora per ritemprarsi
con un frugale pasto. Il segnale, però,
più atteso era lo scampanio all’Ave Maria, al calar della sera,
quando i contadini, esausti per il duro
lavoro, tornavano a casa ed alla quiete familiare. E poi il suono mattutino
delle campane a festa, il giorno della domenica. Al tuo suono ciascuno si fermava per un
istante, devotamente facendosi il segno
della croce e recitando una giaculatoria. Eh si, cara vecchia campana, eri
infaticabile e per anni e anni hai scandito la vita di questa piccola comunità, che non mancava di
ripagarti, come nell’occasione della tentata chiusura dei piccoli conventi. Era
l’anno 1653 e l’intero paese, pur nella ristrettezza delle disponibilità economiche, non esitò a farsi
carico di un contributo, pur di mantenersi il proprio convento e le proprie
campane. La vita scorreva, forse monotona,
ma certamente tranquilla, anche se non
mancavano problemi, causati a volte dall’inclemenza del tempo, ma spesso dalle vicende storiche. Erano passati 195 anni(quasi due
secoli) da quando sedevi nell’alto del campanile del convento e quella tarda mattina
del 5 febbraio 1783 i tuoi rintocchi
avevano appena battuto il mezzodì e l’eco del tuo suono non si era del tutto
perso nelle vallate circostanti, quando accadde qualcosa di cui ancor oggi tu
non riesci a capacitarti. Ricordi a stento un forte tremore, un senso di
vertigine, un rovinoso precipitare e poi nulla, solo il buio. Hai certamente, cara vecchia campana, perso il senso del
tempo e dello spazio, incapace financo di suonare per avvertire del pericolo la
gente. Rimanesti lì, dove il terremoto ti aveva precipitato, inerte, attonita e
silente. Né potevi udire i lamenti della tua sorella maggiore, precipitata
ancor più in basso, né il vocio disperato di chi, sopravvissuto al terremoto,
cercava di dare aiuto e conforto a chi giaceva sotto le macerie. Poi,
un giorno –(forse erano passati mesi o anni, chissà!)– mani devote e pietose ti riportarono alla
luce, ti ripulirono per bene e ti portarono in altro luogo, dove giacesti per
anni ancora, senza che tu potessi allietare la tua gente. Un mattino, era
l’anno 1808, sentisti attorno a te un gran trambusto e un vociare di persone chiaramente
alterate. Il tuo popolo messignadese era venuto a riprenderti, disposto anche
ad usare la forza, contro un frate domenicano che non intendeva ragione e
voleva, ad ogni costo, continuare a tenerti “prigioniera” in quel buio
scantinato dove avevi trovato riparo. Grazie al cielo prevalse alla fine la
ragione e i Messignadesi poterono ricollocarti sul campanile della chiesa
parrocchiale e da allora riprendesti il tuo ruolo di sentinella ed a scandire
la vita dei tuoi fedeli. Da allora ad oggi tu hai seguito per intero le
vicissitudini del tuo piccolo paese, suonando a distesa nelle occasioni festose
e a “mortorio” in quelle più tristi. Dagli anni trenta in poi, la tua dimora
non è più cambiata e sei diventata tu la
maggiore di altre due sorelle, che ti facevano compagnia. Si lo so, cara vecchia campana,
che pensi ancora a quella tua sorella maggiore, rimasta intrappolata tra le
macerie del terremoto, i cui lamenti tu senti ancora ed, incredula ti chiedi
perché mai i buoni Messignadesi non siano mai andati a liberarla e a riportarla
accanto a te. Cara
vecchia campana, è questa veramente una gran bella domanda a cui è molto
difficile dare risposta. I tempi, ahimè, son cambiati e tutti siamo in
tutt’altre faccende affaccendati. Non sono cambiati solo i tempi, ma
fors’anche i cuori degli uomini. Non te la prendere, cara vecchia campana e continua a spandere il tuo suono radioso a ricordarci che la vita è certamente un dono immenso, ma non l'eternità. Ciao!
FILIPPO TUCCI