martedì 5 febbraio 2013

Cara vecchia campana...di Filippo Tucci


Cara vecchia campana,
sei  una delle rare testimonianze che ci restano del passato di questo nostro paese, e di certo, hai accompagnato il popolo messignadese in tutti gli eventi fausti ed infausti che ne hanno contrassegnato la storia. Era l’anno 1588, quando sei arrivata tra noi, dopo essere stata temprata e resa squillante dall’abilità artigiana di Cusmano Saricola. Arrivasti, lucida e brillante, e  ti sei assisa in trono come una regina, insieme alla tua maggior sorella. Dall’alto del campanile del convento di S. Maria della Palomba, il tuo sguardo dominava la piana sottostante e l’Aspromonte ti faceva da scudo, mentre il tuo suono gaudioso si spandeva  tutt’attorno. Tu vegliavi, materna e comprensiva, sul paesello che ai tuoi piedi, operoso e pio, attendeva alle attività quotidiane. Il tuo suono, allegro e vivace, indicava, al levar del sole, l’inizio di un nuovo giorno e al mezzodì avvertivi che era l’ora per ritemprarsi con un frugale pasto. Il segnale, però,  più atteso era lo scampanio all’Ave Maria, al calar della sera, quando  i contadini, esausti per il duro lavoro, tornavano a casa ed alla quiete familiare. E poi il suono mattutino delle campane a festa, il giorno della domenica.  Al tuo suono ciascuno si fermava per un istante, devotamente  facendosi il segno della croce e recitando una giaculatoria. Eh si, cara  vecchia campana, eri infaticabile e per anni e anni hai scandito la vita di questa  piccola comunità, che non mancava di ripagarti, come nell’occasione della tentata chiusura dei piccoli conventi. Era l’anno 1653 e l’intero paese, pur nella ristrettezza delle  disponibilità economiche, non esitò a farsi carico di un contributo, pur di mantenersi il proprio convento e le proprie campane. La vita scorreva, forse monotona, ma certamente tranquilla, anche se non mancavano problemi, causati a volte dall’inclemenza del tempo, ma spesso dalle vicende storiche. Erano passati 195 anni(quasi due secoli) da quando sedevi nell’alto del campanile del convento e quella tarda mattina del 5 febbraio 1783  i tuoi rintocchi avevano appena battuto il mezzodì e l’eco del tuo suono non si era del tutto perso nelle vallate circostanti, quando accadde qualcosa di cui ancor oggi tu non riesci a capacitarti. Ricordi a stento un forte tremore, un senso di vertigine, un rovinoso precipitare e poi nulla, solo il buio. Hai certamente, cara vecchia campana, perso il senso del tempo e dello spazio, incapace financo di suonare per avvertire del pericolo la gente. Rimanesti lì, dove il terremoto ti aveva precipitato, inerte, attonita e silente. Né potevi udire i lamenti della tua sorella maggiore, precipitata ancor più in basso, né il vocio disperato di chi, sopravvissuto al terremoto, cercava di dare aiuto e conforto a chi giaceva sotto le macerie. Poi, un giorno –(forse erano passati mesi o anni, chissà!)– mani devote e pietose ti riportarono alla luce, ti ripulirono per bene e ti portarono in altro luogo, dove giacesti per anni ancora, senza che tu potessi allietare la tua gente. Un mattino, era l’anno 1808, sentisti attorno a te un gran trambusto e un vociare di persone chiaramente alterate. Il tuo popolo messignadese era venuto a riprenderti, disposto anche ad usare la forza, contro un frate domenicano che non intendeva ragione e voleva, ad ogni costo, continuare a tenerti “prigioniera” in quel buio scantinato dove avevi trovato riparo. Grazie al cielo prevalse alla fine la ragione e i Messignadesi poterono ricollocarti sul campanile della chiesa parrocchiale e da allora riprendesti il tuo ruolo di sentinella ed a scandire la vita dei tuoi fedeli. Da allora ad oggi tu hai seguito per intero le vicissitudini del tuo piccolo paese, suonando a distesa nelle occasioni festose e a “mortorio” in quelle più tristi. Dagli anni trenta in poi, la tua dimora non è  più cambiata e sei diventata tu la maggiore di altre due sorelle, che ti facevano compagnia. Si lo so, cara vecchia campana, che pensi ancora a quella tua sorella maggiore, rimasta intrappolata tra le macerie del terremoto, i cui lamenti tu senti ancora ed, incredula ti chiedi perché mai i buoni Messignadesi non siano mai andati a liberarla e a riportarla accanto a te. Cara vecchia campana, è questa veramente una gran bella domanda a cui è molto difficile dare risposta. I tempi, ahimè, son cambiati e tutti siamo in tutt’altre faccende affaccendati. Non sono cambiati solo i tempi, ma fors’anche i cuori degli uomini. Non te la prendere, cara vecchia campana e continua a spandere il tuo suono radioso a ricordarci che la vita è certamente un dono immenso, ma non l'eternità. Ciao!
FILIPPO TUCCI