martedì 20 dicembre 2011

Pietro Carpinelli 1

PIETRO CARPINELLI…quando la vita diventa un romanzo 2

PIETRO CARPINELLIquando la vita diventa un romanzo     2
di Filippo Tucci

-Da giorni ormai, il mare era l’unico orizzonte ed il rullio incessante dei motori del piroscafo ne    era la colonna sonora. Di giorno la chiassosa compagnia degli  altri emigranti, in maggior parte paesani di Oppido, Varapodio, Tresilico, Messignadi, Radicena,ecc. allentava la tensione e l’alternarsi di sentimenti contrapposti. La notte, però, gli diventava difficile chiudere gli occhi e riposare. Si alzava allora dalla cuccetta ed usciva sul ponte della nave, affacciandosi controvento alla ringhiera, per sentirsi addosso il vento freddo e respirare a pieni polmoni l’aria salmastra. La nostalgia, le ansie, le speranze riempivano la sua notte. Quel giovane , appena diciannovenne, si chiamava Pietro Carpinelli e faceva parte della “tonnellata umana” che in quei primi anni del 1900 abbandonava la Calabria per cercare fortuna nelle “Meriche” del Nord e del Sud. Pietro condivideva il comune destino degli emigranti, ma sentiva di essere diverso, perché lui non cercava un lavoro qualsiasi, non scappava, aveva solo l’ambizione di poter continuare a suonare il suo clarinetto e poter diventare un giorno compositore e magari direttore di banda. Si, perché per  lui la musica era  vita e l’aveva nel sangue. Aveva cominciato a suonare che non aveva compiuto i dieci anni. Era clarinettista nella banda di Oppido, suo paese natio, e molto aveva appreso dalle lezioni che gli impartivano amorevolmente il suo capobanda e lo stesso direttore. Aveva compreso, fin dalla tenera età,  che il futuro, che per lui si profilava, non sarebbe stato per niente gratificante. Intanto avrebbe dovuto dividere il suo tempo tra la banda,  molto impegnata in estate per le feste patronali dei vari paesi della Piana (d’inverno invece solo qualche funerale) e un lavoro di tipo artigianale (il ciabattino,il sarto, il barbiere ?) che gli consentisse di mantenere una famiglia. Senza contare che la banda di Oppido stava attraversando un momento difficile, perché incomprensibilmente si erano create due fazioni, che avevano portato ad una  scissione ed alla creazione di due bande, divise in bianchi e rossi, a secondo degli orientamenti  politici. Una  storia, questa,  che Pietro trovava assurda, essendogli stato insegnato che la musica aveva un linguaggio universale ed univa tutti i popoli e tutti i ceti sociali. Aveva perciò deciso che il suo futuro non avrebbe mai potuto essere in questa Terra, dove come nasci muori, senza prospettive e possibilità di cambiamento o di riscatto. Quando, partendo, salutò la madre in lacrime, il padre Salvatore comprensivo lo abbracciò dicendogli semplicemente“Bona furtuna Petru, t’a mmeriti…”

II° -Era l’anno 1907. Era arrivato nella sua Terra Promessa. Asuncion , la capitale del Paraguay, dove era approdato dopo lunghe peregrinazioni, appariva come una grande città, bella, pulita, ordinata e poi  sembrava di essere in Italia,con tanti emigranti  che parlavano la lingua italiana. Pietro Carpinelli  aveva in tasca un contratto, con il quale veniva assunto, come clarinettista, nella Banda della Polizia della città. Non ebbe difficoltà ad ambientarsi, anche perché la sua vita era scandita dallo studio, dalle prove della banda e dai concerti. Non aveva altro pensiero e non si concedeva neppure tante amicizie. La sera immancabilmente la dedicava a esercitarsi con i pezzi preferiti, da Rossini a Mozart.. Fu così per sei anni. Poi nel 1913 la prima svolta della sua vita. Sicuramente notato e apprezzato e  per la sua bravura e capacità,viene arruolato nell’Esercito paraguaiano e destinato alla Banda militare di Conception , con l’incarico di vice direttore. E’ un primo importante riconoscimento
al quale seguirà la vice direzione della banda del 4° Reggimento  a Encarnacion.
Passano dieci anni con Pietro impegnatissimo nell’organizzazione bandistica e nell’approfondimento dei suoi studi. Finalmente nel 1923 viene promosso direttore della Banda del Battaglione Genieri. Si sente veramente  realizzato. Sono stati sedici lunghi anni di sacrifici e rinunce, ma ora Pietro Carpinelli è direttore di banda ed inserito nell’organico dell’Esercito, come Ufficiale. Comprende che il “nuovo status” lo porterà a contatti e relazioni importanti e che la sua vita pubblica e privata dovrà necessariamente subire dei cambiamenti. Vi sono da assolvere tanti impegni istituzionali ed, inoltre, la Banda tiene concerti pubblici nelle ricorrenze civili ed in altre occasioni importanti.

III° - Quel pomeriggio del novembre del 1924, la Banda del 5° reggimento di Fanteria teneva un concerto nel Giardino Botanico. I musicisti indossavano l’alta uniforme ed eseguivano le varie arie, sotto la direzione del capitano don Pedro Carpinelli. Don Pedro aveva compiuto da poco i trentasei anni. Era sicuramente un bell’uomo e la divisa certamente gli donava ed esercitava grande fascino sulle donne. Era fondamentalmente, però, un romantico che credeva nell’amore e nella sacralità della famiglia, anche se fino a quel momento non aveva mai pensato di accasarsi. C’era tanta gente, quel giorno nel parterre del Giardino Botanico. Tutti erano eleganti, soprattutto le signore che sfoggiavano, per l’occasione, i capi più belli del loro guardaroba. Don Pedro, seppur attento alla direzione musicale, non potè fare a meno di notare, seduta al primo tavolo, una ragazza dai lineamenti stupendi che, con il movimento del capo, seguiva le arie musicali, facendo ondeggiare i lunghi capelli. Lei non gli staccava gli occhi di dosso ed era la prima a battere le mani guantate, non appena terminava l’esecuzione di un pezzo. Don Pedro rispondeva a questo silenzioso omaggio, con un leggero inchino e fissandola intensamente negli occhi. Era sicuramente una ragazza della buona società , però doveva essere giovanissima e questo lo frenò al punto che, terminato il concerto, evitò deliberatamente di incontrarla, provocando la delusione della ragazza. Tuttavia, per curiosità, si informò, in maniera discreta, su chi fosse quella signorina. Le notizie che ricevette spensero del tutto quella piccola fiammella che si era accesa nel suo cuore. Si trattava, infatti, della ventenne donna Francisca Yegros, appartenente ad una delle famiglie più nobili e potenti del Paese.
La signorina Yegros discendeva direttamente dal generale Fulgencio Yegros (1780 – 1820) , un ufficiale spagnolo che, abbracciata  la causa indipendentista, combattè per il Paraguay  portandolo a alla sua totale autonomia  e divenendone, nel 1811, il primo Presidente della Giunta. Fulgencio Yegros era stato, ed ancora era considerato, il fondatore dello Stato del Paraguay e Padre della Patria. Pedro Carpinelli conosceva bene la storia del Paese nel quale viveva e sapeva perfettamente quanto potente fosse la famiglia Yegros, i cui componenti erano nei massimi gradi dell’Esercito e della Amministrazione pubblica. Anche per un uomo baciato dalla fortuna, come lui finora era stato, era pura follia la sola idea di innamorarsi di donna Francisca. Si ributtò con maggior lena nel suo lavoro, ma la presenza di questa ragazza divenne, suo malgrado, una costante ritrovandosela  sempre attorno. Un giorno, però, entrando nella sala concerti del Teatro trovò sopra il leggio dello spartito, su cui era poggiato il suo clarinetto, una rosa rossa accompagnata da un bigliettino su cui era scritto semplicemente “Francisca”. Don Pedro capì che quella rosa  aveva un preciso significato: doveva e poteva combattere per Francisca.
Si sposarono bel 1925 e l’anno successivo nacque la primogenita.

IV° - Gli anni che seguirono, Pietro li dedicò alla moglie che adorava, ai figli ed alla musica. Nel 1931 fu chiamato a dirigere la Banda Musicale dell’Accademia Militare e questo, di per se, fu un altissimo riconoscimento. Nel giugno 1932 il Paraguay si trovò in guerra con la confinante Bolivia a  causa di rivendicazioni  territoriali  nella provincia del “Chaco”. Fino ad allora Pietro Carpinelli non aveva richiesto la cittadinanza paraguaiana ed aveva mantenuta quella italiana e, pertanto, era esentato dal partecipare alle azioni belliche. Memore e grato per quanto la Patria adottiva gli aveva dato ed anche per l’onore della divisa che indossava, non esitò un istante a richiedere la cittadinanza per potersi sentire paraguaiano a tutti gli effetti. Lo doveva anche alla famiglia nella quale era stato accolto, alla moglie ed ai suoi figli. Aveva 44 anni e partiva per il fronte. La sua presenza sul campo di battaglia  non fu affatto simbolica, ma nei tre anni di guerra compì molte azioni eroiche che gli valsero l’assegnazione delle più alte onorificenze militari. La guerra fini vittoriosamente per il Paraguay, nel 1935 e don Pedro potè tornare nei ranghi militari venerato ed omaggiato come un eroe nazionale.
Nel 1946, dopo trentatre anni, si congedò dall’Esercito e condusse gli ultimi anni della sua vita dedicandosi esclusivamente agli studi musicali. Morì il 10 dicembre 1960. Il capitano don Pedro Carpinelli, però non è mai morto per la sua gente, che lo ha onorato dedicandogli vie, scuole, edifici pubblici. Ogni anno nell’annuario ufficiale dello Stato vengono ricordate la sua data di nascita e di morte e nel Mausoleo degli Eroi del Chaco ha un posto di rilievo. Su di lui sono stati scritti libri ed articoli e tutte le sue composizioni musicali, tra cui la Marcia Nazionale dell’Esercito, sono state date allo Stato.
Del legame con la madrepatria rimane solo un’esilissima traccia, essendo indicato Oppido Mamertina (Calabria) quale  luogo di nascita. Varrebbe la pena, forse, riscoprire  questo calabrese che ha onorato, con la sua vita,  anche la sua terra natia.

FILIPPO TUCCI

Pietro Carpinelli 3

El Capitan Pedro Carpinelli                                             4
di Luis Resquin Huerta

Tra i volontari che abbracciarono, durante la guerra del Chaco, la causa della nostra Patria vi furono alcuni che  dimostrarono un fervore di veri paraguayani. Vogliamo ricordare il cap.Pedro Carpinelli, questo figlio diletto della patria di Verdi e di Rossini, che ebbe non solo l’onore di organizzare la prima banda del Corpo della  Polizia della città di Asuncion, ma che onorò le tre stelle di capitano di Fanteria con la Croce del Defensor, la medaglia del Bouqueron e la Croce del Chaco. La sua volontà di servire nell’Esercito Nazionale è un vero esempio di virtù militari, degno di figurare accanto a quell’altro figlio di Marte che fu il maggiore Bullo, anche lui italiano, durante la prima guerra. Romantico, come il magg. Bullo, scalò tutte le vette dell’eroismo raccogliendo tanti riconoscimenti da parte dei suoi commilitoni e della patria paraguaiana. La sua carriera di professore di musica lo portò a dirigere importanti complessi bandistici : come vice direttore la banda militare di Concepcion e della  4° zona militare con sede in Encarnacion; direttore della banda  del Battaglione dei Zapadores; battaglione di fanteria n. 2 che si formò nel reggimento Itororo e che culminò con la banda della Scuola Militare nell’anno 1931. Di stanza nel Collegio Militare “Maresciallo  Francisco Solano Lopez” fonda una banda musicale propria. A questo scopo fu inviato, dal Governo della Nazione, a Buenos Aires (Argentina) per l’acquisto degli strumenti necessari. Già era in piena attività  e stava per iniziare le sue prime lezioni, quando si scatenò la guerra del Chaco. All’interno della Scuola Militare  si forma il glorioso R.I. 6 al comando del magg. Arturo Bray. Essendo il capitano Carpinelli straniero, il decreto di mobilitazione non lo riguardava, ragione per cui la Direzione lo invitò a restare nella capitale. Questo nobile figlio della patria di Garibaldi, sentendosi paraguaiano come l’ultimo degli abitanti, decise di richedere e sollecitare il riconoscimento della cittadinanza del Paraguay. Poco dopo gli veniva concesso l’onore di lottare, insieme ai suoi  amati compagni, per la Patria sua, dei suoi figli e della sua sposa. Gia in pieno Chaco, mentre infuriava la battaglia, nel mezzo del rumore dei cannoni e del crepitio delle mitragliatrici, il capitano Carpinelli incoraggiava gli eroici cadetti nella storica Punta Brava, al suono dell’epico “Campamento Cerro Leon”. Questo fu il suo battesimo di sangue, per festeggiare, dopo una lunga attesa di ventitre giorni, la prima grande vittoria del Bouqueron, ricoperta di gloria e primo passo verso le successive vittorie  che accompagnarono le conquiste del valoroso esercito. Però la sua gloriosa battaglia non finiva qui e infatti lo vediamo partecipare alla battaglia del 4 – 6  di luglio a Nanawa, come Ufficiale agli ordini del Comando della famosa VI° Divisione. Nella successiva offensiva dell’esercito del Paraguay fu designato Capo della Frontiera e gli toccò di dover difendere cinque km di confine, con un pugno di musicisti. Nei tre anni della guerra del Chaco, solo due volte andò in licenza nella capitale. La prima volta per portare la bandiera boliviana ed altri documenti sottratti al nemico e la seconda per curarsi. Per completare i suoi meriti, contrasse matrimonio con donna Francisca Yegros, erede legittima del gen. Fulgencio Yegros, Capo indiscusso dell’indipendenza del Paraguay. Accanto a questa virtuosa e nobile donna formò il suo focolare, fortificò il suo spirito e accese il suo amore per il Paraguay con diversi figli. Nel 1946 si congedò dall’Esercito Nazionale che aveva servito per quarantatreanni con lealtà professionale e amore verso la sua Patria. Queste linee le abbiamo tracciato per rendere il nostro omaggio di gratitudine e giustizia attraverso questi episodi, molti dei quali furono taciuti per il forte spirito di soldato e per il suo romanticismo latino, al servizio del Paraguay.

(estratto e tradotto dal giornale ufficiale dell’Esercito Paraguayano)

                                                       
                                    messignadineltempo.blogspot.com

Pietro Carpinelli 5

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sabato 26 novembre 2011

Speciale "Terremoto 1783"

LE CONSEGUENZE A MESSIGNADI DEL SISMA AVVENUTO IL 5 FEBBRAIO 1783 (a cura di Filippo Tucci)

LE CONSEGUENZE A MESSIGNADI DEL SISMA AVVENUTO IL 5 FEBBRAIO 1783

Mai, nel corso della storia della nostra Terra, evento fu così catastrofico e sconvolgente per il gran numero di vittime provocate, per gli assetti del territorio profondamente modificati, per i rapporti sociali che cambiavano e per l’economia locale da ricreare ex novo. Occorre, intanto, rilevare che i maggiori danni si registrarono nella Piana, epicentro del sisma, dove i morti sono stati nell’ordine del 30-35% degli abitanti. Per alcuni paesi fu la cancellazione totale; altre città rinacquero dalle macerie, perdendo però l’egemonia esercitata per secoli; altre ancora si ritrovarono a dover assumere un ruolo guida negli anni successivi. Città-Stato, come Terranova, Seminara, Oppido, Santa Cristina, Sinopoli, seppellirono sotto i resti dei palazzi, dei castelli, e delle chiese anche il loro nobile e luminoso passato. In questo contesto di rovine e di disastro, Messignadi non ebbe miglior sorte. Decimata nella sua popolazione, 241 morti su 984 abitanti (che nei due anni successivi si ridussero a circa 430 a causa dell’aria malsana), sfregiata nel suo territorio, interamente distrutte le abitazioni, azzerate le sue attività economiche. Crollò la chiesa di San Sebastiano, sita nel centro dell’omonima via che attraversava il primo insediamento urbano messignadese (ora rione Timpa). In questa stessa area crollarono anche solide costruzioni, come è testimoniato dai basamenti ancora visibili. Stessa miserevole fine fece la struttura conventuale dei Domenicani, tranciata in due da una fenditura, che fece precipitare una parte nella sottostante fiumara della Spilinga. Trecentosettantanni di storia messignadese, giacciono da allora nella melmosa costiera, né miglior sorte ebbero i ruderi del convento, mai adeguatamente esplorati. Un’altra grande fenditura del terreno si aprì nella parte esterna del paese, lato ovest, dove una enorme voragine (Race), partendo  dalla fontana dei monaci, si estese fin oltre la Timpa, interrompendo l’importante strada di comunicazione con Oppido, che da allora fu transitabile solo su un instabile ponticello in legno. A parte questi aspetti, si registrarono altre conseguenze, a seguito del terremoto. Fu infatti  estremamente difficoltoso definire i confini delle vecchie proprietà attorno alle quali si aprirono contenziosi durati lunghissimi anni. Altrettanto arduo fu la individuazione dei legittimi eredi, nei molti casi in cui erano morti tutti i componenti della famiglia proprietaria. Ebbe il suo da fare il notaio di Messignadi Antonino Vorluni, per comporre e dirimere le tante controversie. Come giustamente fa osservare C. Botta nella sua Storia d’Italia: “Quasi tutti i ricchi hanno perduto, quasi tutti i poveri hanno guadagnato”. Insomma il terremoto, come livellamento sociale. Altra considerazione, infine, riguarda gli assetti territoriali che si sono definiti negli anni successivi nella Piana e che hanno ridotto ad un ruolo marginale Messignadi. Se, infatti, prima del terremoto era uno snodo importante nel collegamento Nord-Sud (da Terranova, Polistena verso Oppido, Sinopoli), man mano che sono cresciute per abitanti e d’importanza nuove città (Palmi, Gioia, Taurianova, ecc.) l’asse viario da orizzontale diveniva verticale, isolando totalmente Messignadi. Ciò ha annullato completamente i vantaggi per i commerci ed i traffici d’ogni genere di cui aveva goduto per secoli. Comunque i Messignadesi ben si adattarono alla mutata condizione, se un secolo dopo il “grande flagello” i suoi abitanti erano attorno ai 2.000 e l’economia era in condizioni floride.  

FILIPPO TUCCI
TERREMOTO
 5 FEBBRAIO 1783
descritto
DA MICHELE TORCIA

Nella Calabria gli eccidi sono stati più considerabili, e mortali. Infelicemente la sua penisola stava immediatamente sopra il fornello della mina Volcanica, e più a destra degli Appennini, che a sinistra. Una delle pruove n'è, che l'esterminio delle Città è stato maggiore in questa parte, che in quella: che nell'una gli edifizi sono caduti alla prima scossa, e nella regione meridionale; alla seconda, o alla terza: e questa è la ragione, per cui la mortalità è stata quasi tutta da un fianco, e niente dall'altro degli Appennini. Ecco intanto alcune delle principali Città, e Terre soggiaciute alla furia del flagello: il Pizzo, Briatico, Bivona, Monteleone, situati tutti nel fertile territorio degli antichi Ipponiati; Filogaso, celebre pei suoi fichi, Tropea con tutti i suoi Casali; fra i quali Parghilia crescente per la sua navigazione, Mileto con tutti i suoi contorni, Rosarno, e Galatro, crescenti per la loro Agricoltura, Nicotera, e Gioja, per la pesca, Palmi, e Seminara, floride più di tutte per l'industrie di mare, agualmente che per quelle di terra; verso i monti Sangiorgio, Polistina, Sinopoli, Cinquefrondi, Terranova, Casalnovo, Santa Cristina, S. Eufemia, S. Procopio, Castellace, e tanti altri piccoli villaggi intorno a Oppido. La mortalità in tutti i luoghi accennati è stata grande; quivi anche par che il flagello abbia fissato il teatro della Carnificina. Le persone comode, i benestanti, il Clero, ed i Signori, che non si erano ancora alzati da tavola, gli artigiani, e la servitù colle loro donne, e figliuoli, che erano ritornati alle loro incombenze, sono tutti rimasti vittima della totale rivoluzione del loro suolo.
In generale per tutto dove le famiglie erano addette alle manifatture, son quasi tutte rimaste sepolte co'loro ingegni sotto le ruine: per tutto poi dove trovavansi addette all'agricoltura, o alla pastorale, sono state preservate dall'esterminio. Le umili, e rustiche loro Capanne, i pagliai, e le baracche rurali, sono state l'unico rifugio a'miseri avanzi della strage Cittadina; Questo è quello, che è accaduto alla fertile, ed opulenta Piana coperta di Città, e villaggi popolatissimi, ed industriosi, ed innaffiata da'fiumi, e ruscelli, i quali, come molti paesi, che ne sono bagnati, portano tuttavia il Greco nome, per esempio Metauro, Metramo, Jeropotamo, Calopotamo, Gallico.
Oppido sopra una cresta dell'Aspromonte si è rotto da ogni lato: Terranova sopra un'altra si è slamata nel fiume Marro: S. Anna, e Casoleto da un lato, Soriano, e Laureana dall'altro, han veduto il lor suolo avvallarsi, come anche i terreni di Filarete, e dell'Annunziata bel tenimento di Seminara. I spettatori, che trovavansi sopra i luoghi eminenti, vedevano i picchi, ed i piani de'monti, non altrimenti che le valli, e le pianure delle loro pendici muoversi come lo scioglimento de'ghiacci ne'paesi freddi. I luoghi abitati, dopo qualche tremolio, innalzavano per la caduta de'loro edifizi, colonne di polvere, più o meno dense, a proporzione della loro grandezza. Vi sono in fatti Paesi, dove non è rimasa pietra sopra pietra, e degli abitanti non si son salvati se non quelli, che trovavansi fuori le mura dello loro abitazioni: e talvolta nè pure questo effugio ha bastato. Infelicemente la prima scossa rovesciò gli edifizi sopra gli abitatori o appena, o non ancora alzati di tavola.
Il cominciamento del tremuoto ha scoppiato senza verun precedente segno il Mercoledì 5. di Febbraio. La prima scossa, la più terribile di tutte, e che durò tre minuti, avvenne tre quarti di ora dopo il mezzo giorno; la seconda, quasi egualmente forte a'7. ore di notte; la terza, che finì di abbattere le Città, ed i Villaggi, il Venerdì seguente a 20. Se ne sono contate fino al giorno 3. del corrente Marzo in sì gran numero tra forti, e leggiere che cogli avvisi posteriori parlasi di un tremuoto continuo; ed in fatti una palla messa sopra un piano livellato non trovava fino al detto dì riposo: e l'esperienza era stata ripetuta più volte in vari luoghi. Il loro movimento è stato di ogni genere, di sussulto, ondulatorio, di trepidazione. Non è stato moto della terra, ma un rovescio totale della sua superficie. Tutti gli elementi, e tutte le creature se ne sono risentite. Una dirotta pioggia con venti, e nebbia indicava la piena agitazione del quarto elemento. I pastori, e i fuggiaschi della Campagna sentivano gli aliti tramandati di bitume e di solfo.
Tante aperture, ed oscillazioni della terra ne aveano ripiena l'atmosfera.
In generale per tutto dove le famiglie erano addette alle manifatture, son quasi tutte rimase sepolte co'loro ingegni sotto le ruine: per tutto poi dove trovavansi addette all'agricoltura, o alla pastorale, sono state preservate dall'esterminio. Le umili, e rustiche loro Capanne, i pagliai, e le baracche rurali, sono state l'unico rifugio a'miseri avanzi della strage. Questo è quello, che è accaduto alla fertile, ed opulenta Piana coperta di Città, e villaggi popolatissimi, ed industriosi, ed innaffiata da'fiumi, e ruscelli, i quali, come molti paesi, che ne sono bagnati, portano tuttavia il Greco nome, per esempio Metauro, Metramo, Jeropotamo, Calopotamo, Gallico.
Oppido sopra una cresta dell'Aspromonte si è rotto da ogni lato: Terranova sopra un'altra si è slamata nel fiume Marro.
I luoghi abitati, dopo qualche tremolio, innalzavano per la caduta de'loro edifizj colonne di polvere, più o meno dense, a proporzione della loro grandezza. Vi sono in fatti Paesi, dove non è rimastapietra sopra pietra, e degli abitanti non si son salvati se non quelli, che trovavansi fuori le mura dello loro abitazioni: e talvolta nè pure questo effugio ha bastato.
Lo stesso caso è accaduto agli opulenti Baroni Paparatti di Rosarno, ed a'ricchi Bagalà di Palmi: di questi ultimi sopravvivono soltanto un Prete di Napoli, e un negoziante a Livorno. A Palmi stesso gli Aquini, ed i Cannelodri sono rimasti, fuorchè gli assenti, estinti: tutti poi i Sartiani, e i Grillo a Oppido; i Verga, i Foluri, i Piromalli a Casalnovo.

Il terremoto dell’anno 1783 a Messignadi (di Vincenzo Frascà)

Il terremoto dell’anno 1783, a Messignadi
(Tratto da “OPPIDO Mamertina, riassunto cronistorico di Vincenzo Frascà, edito nel 1930 pagg. 229 e segg.)

“Il vasto fabbricato conventuale fu distrutto dal terremoto del 1783 e la leggenda vuole che la campana di quel convento suoni a distesa la notte di Natale, ad invitare i fedeli alla Messa di mezzanotte. Non si vede sul luogo alcuna campana, ma la tradizione è viva e molti contadini giurano di averla udita suonare a stormo, la notte di Natale. Nei pressi del convento si celebrava la fiera di San Vincenzo, che ricorreva nei primi giorni del mese di aprile. La statua di San Vincenzo, che dopo il terremoto fu trovata incolume, fu portata in Messignadi, dove si celebra ogni anno la maggiore festa in Suo onore. Dalle macerie di quel convento furono estratti anche molti calici, ostensori, una croce astile di argento ed altri arredi sacri, portati alla chiesa parrocchiale di Messignadi. Ed anche la campana piccola di quel convento, ora squilla dal campanile della chiesa di Messignadi. Si racconta che qualche ora innanzi al terremoto del 5 febbraio 1783 due contadini avessero portato ai monaci del convento delle grosse somme dovute per fittanze e che il frate amministratore, dopo aver contato le monete, le avesse disposte a mucchietti di uguale valore sopra un tavolo ingombro di libri. All’indomani del terremoto, ritornati i contadini sul luogo, videro il frate morto con il capo sfracellato presso il tavolo, gli altri frati tutti seppelliti fra quelle macerie e le monete disperse. Si racconta ancora che un frate laico nel momento del terremoto trovavasi ad attingere acqua nei pressi dell’abitato di Messignadi, dalla fontana che tuttavia chiamasi Fontana dei Monaci e che una voragine apertasi improvvisamente l’abbia inghiottito insieme all’asino ed ai barili. Nessuno ha mai pensato al restauro e così ebbe fine quel convento, che per circa tre secoli fu lustro e decoro di quella borgata. Il fiumicello Race o Stizzii che non esisteva si  formò dopo il terremoto ed ora si attraversa su di un ponticello all’ingresso di questa borgata. Sulla via rotabile che va a Varapodio, dove ora si trova il Calvario, sorgeva una bella chiesina, che distrutta dal terremoto del 1783, non venne più riedificata.”

Speciale "Terremoto 1783"

Speciale "Terremoto 1783"

Speciale "Terremoto 1783"

Speciale "Terremoto 1783"

venerdì 18 novembre 2011

I giocatori di scopa

Messignadesi al cinema

A maistra Giulia

Matrimonio di Giuseppe Brancati e Carmela Barbaro


Grandi Nonne

Grandi Nonne

Pina

Messignadesi

Scuole elementari

Prima Comunione

Asilo - Laboratorio

S.Vincenzo, il ritorno dal convento

S.Vincenzo, il ritorno dal convento

S.Vincenzo, il ritorno dal convento

S.Vincenzo, il ritorno dal convento

S.Vincenzo, il ritorno dal convento