PAGINE DI STORIA MESSIGNADESE / 1
L’occupazione del bosco Farone di Filippo Tucci
Agli inizi del 1950 la Piana di Gioia Tauro fu teatro di sommovimenti popolari che avevano come obiettivo l’occupazione dei fondi agricoli incolti, appartenenti a proprietari terrieri della zona. Ispiratori e organizzatori erano i partiti del fronte popolare di sinistra, spalleggiati dal sindacato CGIL. Il movimento, sviluppatosi nel meridione d’Italia, corrispondeva più a esigenze contingenti di strategia e lotta politica, che non ad una reale necessità dei ceti popolari. In Calabria, ed in particolare nell’area della Piana di Gioia Tauro, mancava un ceto operaio e proletario che facesse da spinta al movimento e si identificasse nella ideologia rivoluzionaria. Infatti la maggioranza della popolazione era composta da piccoli proprietari - contadini e da modesti artigiani, le cui ambizioni non erano certo di essere” livellati” all’interno di un sistema di tipo comunista, ma di ampliare le loro “proprietà”. Il contesto economico di quegli anni, successivi alla seconda guerra mondiale, era particolarmente difficile e precario, ma non assimilabile ad altre situazioni caratterizzate da sfruttamento da parte dì agrari latifondisti. Messignadi, nella circostanza, si mobilitò, capeggiata dal concittadino Francesco Zimbè, dirigente zonale della CGIL e del Partito Socialista, che nel paese aveva costituito una sezione politico-sindacale, forte di oltre150 iscritti. Per cui, decisa a livello di vertice l’azione, si pianificò localmente l’operazione, individuando nel bosco Farone il fondo da occupare. Questo vasto terreno, attiguo alle proprietà coltivate dai Messignadesi, era posto sul pianoro sopra il fiume Serra (Jona), lungo la mulattiera che da Messignadi portava a Molochio. Non fu difficile per Zimbè, convincere i paesani, allettati dalla prospettiva di una facile conquista. Infatti in quel mattino del 5 marzo, una folla eterogenea composta da oltre duecento persone, si ritrovò nella piazza della Chiesa Vecchia e e si mise in marcia verso Farone, con la coreografia che la circostanza imponeva: sventolio di bandiere rosse, qualche pugno alzato, schiamazzi, ecc. Stranamente mancavano, o erano pochissimi, i braccianti, i “zappaturi”, i “putaturi”, i raccoglitori di olive (i “jornatari”) che avrebbero dovuto essere il perno e la spina dorsale del movimento. Mancava, insomma il proletariato. I “cafoni”(per dirla con Silone) sapevano che nulla avrebbe cambiato la loro condizione e realisticamente quel giorno andarono a lavorare per poter sfamare la loro famiglia. Quelli che, invece, parteciparono erano in maggioranza piccoli proprietari agricoli, che coltivavano direttamente la loro terra e qualche artigiano speranzoso in un improbabile cambio di status. Immancabili gli “strascinafacendi” e gli approfittatori. Insomma una variegata armata Brancaleone, dove ciascuno pensava di trarre qualche vantaggio, magari a spese di qualcun'altro. In quella folla, l’unico idealista, che credeva veramente in quello che faceva, era Francesco Zimbè, il quale per tre giorni continuò a guidare ed arringare i “rivoluzionari”, dovendo spesso intervenire a sedare le insorgenti liti sulla ipotetica spartizione del fondo. Comunque al terzo giorno intervenne la forza pubblica che fece sgomberare tutti ed a Messignadi, come negli altri paesi della Piana, si ritornò alla normalità. Grande fu la delusione da parte dei partecipanti, tant’è che i Partiti della sinistra e lo stesso Zimbè persero credibilità e consensi elettorali, scomparendo definitivamente dalla scena politica locale.
PERSONAGGI MESSIGNADESI /1
FRANCESCO ZIMBE’ di Filippo Tucci
Dopo la caduta del fascismo, Francesco Zimbè aprì a Messignadi una sezione del PSI e della CGIL, consistente in una modesta scrivania posta nello stesso locale, dove suo genero, mastro Gesu, svolgeva il lavoro di sarto. Zimbè era un convinto socialista, fautore del fronte popolare della sinistra, anti-democristiano viscerale e anche un tantino “mangiapreti”, come allora era abbastanza di moda in quell’area politica. Aveva, però, una particolare devozione per San Paolo del quale, in qualche occasione, aveva organizzato pure la festa. L’idillio con San Paolo si ruppe quando gli nacque la terza figlia femmina, anziché il tanto atteso figlio maschio. Considerò il fatto come uno sgarbo personale da parte del suo Santo Patrono, la cui statuetta, che troneggiava su un mobile di casa, volò dalla finestra. Zimbè era persona dal carattere deciso e di forte tempra, che non arretrava in nessuna circostanza. Si narrava come una volta si fosse scontrato, nei pressi di Palmi , con un importante “capobastone” di quel luogo, il quale fu talmente ammirato dal coraggio dimostrato da volerlo per amico, decretandone così il rispetto generale. La forte passione politica, il radicato convincimento delle proprie idee socialiste e la sua capacità oratoria, gli valsero il riconoscimento dei dirigenti politici che, durantele campagne elettorali, lo invitavano per fare comizi in tutta la Provincia di Reggio. Fu nominato responsabile di zona e molto attivo nella organizzazione del PSI e della CGIL nella Piana di Gioia Tauro. Nel 1950, quando nella Calabria, vi fu la rivoltadei contadini e l’assalto alle “terre incolte”,
Francesco Zimbè fu in prima linea ed organizzò in Messignadi oltre duecento persone che, marciarono verso le terre di Aspromonte andando ad occupare un bosco incolto chiamato “Farone”. L’occupazione durò qualche giorno, poi l’intervento dei carabinieri, mandò tutti a casa e qualcuno venne denunciato, Zimbè per primo. Di questa delusione collettiva, Francesco Zimbè pagherà le conseguenze politiche perché alle elezioni successive il partito (PSI), di cui era responsabile raggranellerà a Messignadi solo 14 voti mentre la sezione contava 120 tesserati. Visto il carattere del soggetto la cosa non poteva finire così. Infatti qualche sera dopo le elezioni, convocati gli iscritti, alla riunione si presentano ben più dei 14 elettori. Così nel bel mezzo della riunione, spenta la luce e preso un bastone, Zimbè comincia a dare randellate a destra e a manca, spingendo tutti fuori. Nessuno ebbe il coraggio di protestare, ma lì finiva l’avventura politica di Francesco Zimbè, che resta comunque un raro esempio di dedizione totale e disinteressata ad una causa e ad un idea
in cui ha fermamente creduto.
1950 – L’OCCUPAZIONE DEL BOSCO FARONE
una vecchia “pasquinata” di un anonimo messignadese
(rielaborata approssimativamente da Filippo Tucci)
Cù Zimbedu capotesta,
Messignadi è tutta in festa.
Cù rumori e gran schiamazzi
si raduna a genti nte chjiazzi.
Messignadoti ndavia veramente tanti
Ca lu paisi restau menzu vacanti.
Arta si jiza “bandiera rossa “
e chi pugni chjiusi vannu a la riscossa.
A banda pilusa cu Micu u nanu,
cuminciau a sonari chjianu chjianu.
Fimmini e omini, zoppi e sciancati
caminavano tutti mbischjati.
Armati di zappi, cugnati e furcuni
Jivano u si spartunu u voscu i Faruni.
Sulu “don Nudu” mancava dà matina;
non ci ndavia datu u permesso a Bellardina!
Mastru Paolu u scarparu, surridenti,
cà non tirava cchiù spacu chi denti.
Ciccu Suraci, tuttu ncanitu,
volia nù pezzo i castanitu.
Masi Caia tutto contentu
cà si pigghiava a parti du parmentu.
Ma s’incazzau Micu i Leu:
chista parti a vogghiu jeu !
Ntervinni puru Roccu u’ Canali:
cà i parti ndanno a esseri uguali!
Dici a sua pure Jelasi:
a chi morzu ndavi u mi trasi!
Toscaneggiava Mariano u Balengo:
andate avanti che poi io vengo!
Volia a vigna Roccu Martino
u si poti fari du’ gutti i vino.
Era menza mbriaca a Ffonziella:
Voggjiu u vegnu puru ca barella!
Caminava sberto Lucilumera
u vaci u conza l’armacera
Ndavia partutu puru Micu u Piu
ma a prima nchianata sa fùjiu.
Urtimo chjicau Roccu u Pizzucu:
datimi chi voliti, mi basta puru nu bucu!
Jiru tri jiorna, da matina a notti
Zapparu a terra e pigghjiaru botti.
Poi Chjcaru i carbineri nte camionetti
E, amaru Zimbedu, nci misuru i manetti.
Tornaru o paisi scurnati e cunfusi,
senza banderi e pugni chjiusi.
Cantavanu, che da sira era ormai ora,
“Mira il tuo popolo o bella Signora”.
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