IL SOGNO "AMERICANO" DI MELU
Carmelo era un giovane
delle nostre parti, nato a Messignadi, un paesino della Piana. nel 1933. La sua
famiglia non navigava nell’oro, ma se la
cavava discretamente con l’ attività olearia ed i piccoli commerci. Il
giovane aveva un carattere gioviale e, come si suoleva dire una volta ,era di compagnia. A
vent’anni, però, è inevitabile che ciascuno pensi al proprio futuro e Melu u’
mignotu – come tutti lo chiamavano – sognava l’America.
Fu così che decise di
emigrare negli Stati Uniti.
Approdò a Kansas City , nel Missouri, dove
aveva trovato un lavoro e una bella ragazza di nome Marie, che sposò e dalla
quale ebbe tre figli. Da buon calabrese, ligio alle tradizioni, volle chiamare
i figli con i nomi dei genitori,
onorando così il padre e la madre. Poi Carmelo e la moglie Marie decisero di
trasferirsi nelle città di Amarillo, nello Stato del Texas. Li aprirono una
“grocery”, overo un piccolo supermercato
alimentare, anche se Carmelo si dedicava pure alla riparazione delle
biciclette. La vita scorreva tranquilla, i ragazzi crescevano bene e seguivano
gli studi con molto profitto. Sentiva di avere realizzato il suo sogno
giovanile, ma sentiva forte il desiderio di realizzare ora il suo sogno
“calabrese”, di tornare cioè nella sua
terra d’origine per qualche tempo, di rivedere i suoi parenti e i suo vecchi
amici, di riassaporare gli odori e i colori del paesello dove era nato e
cresciuto. Rivivere, insomma, il periodo felice della sua adolescenza e della
sua prima gioventù.
Quel giorno - era domenica
27 novembre 1994 - non sembrava
avere niente di speciale : piu’ o meno la solita routine. I coniugi Surace alzarono
le serrande e si stavano organizzando per accogliere gli avventori piu’
mattinieri. D’un tratto fecero irruzione nel locale quattro giovani, uno dei
quali ( doveva essere il capo del gruppetto) si diresse verso il dispenser
della birra con l’intenzione di rubare
qualche lattina. Nel negozio, in quel momento c’erano solo Carmelo e
Marie Surace. Carmelo capì subito le intenzioni del gruppetto : stavano
cercando di fare una rapina e sua moglie era in pericolo. Affrontò quindi il
capo della banda di teppisti, ma questi estrasse da sotto la giacca un fucile cal.22 a canne mozze e gli sparò un colpo che lo lascio’ moribondo sul pavimento. La moglie , nel
frattempo, aveva messo sul bancone i
soldi che erano nella cassa, circa 52 dollari e, terrorizzata, stava tentando
di usare il telefono, inginocchiata sotto il bancone. Venne freddata da un
colpo sparato al volto. I giovinastri scapparono portando via delle birre e i
pochi dollari. I corpi dei coniugi Surace vennero trovati poco dopo da un
cliente, che avvertì la polizia. Carmelo morì qualche ora dopo e la Polizia arrestò
subito l’assassino e i suoi complici. Potrebbe finire qui questa storia triste
e amara, ma c’è un appendice della quale si parlò a lungo sui giornali
americani e che divise molto la pubblica opinione. Ryan Dickson, questo era il nome del duplice assassino, all’epoca dei fatti aveva appena compiuto i 18 anni (era nato
infatti 11 novembre 1976). Dopo tutte le fasi procedurali previste dalla giustizia americana, ed in
particolare dello Stato del Texas, ebbe la condanna a due esecuzioni capitali, in quanto si tennero due distinti
processi, uno per la morte di Carmelo Surace e l’altro per la morte della
moglie. La sentenza di condanna a morte sollevò molte perplessità e dibattiti
sui mass-media americani perché si trattava di un ragazzo, appena
maggiorenne, ed anche perché negli stessi Stati Uniti c’è un forte movimento di
opinione contrario alla pena di morte.
Respinti tutti i
ricorsi e rifiutata la grazia da parte del Governatore, la sentenza venne
eseguita il 26 aprile 2007. Erano
passati 13 anni. Ci dicono i giornali che nessuno dei
familiari delle vittime volle presenziare, come sarebbe stato loro diritto,
alla esecuzione del condannato. Segno,
questo, che non cercavano vendetta,
cercavano solo giustizia e forse erano anche contrari alla pena capitale. Quel
che conta, alla fine, è che tre vite
umane sono state stroncate per 4 birre e
52 dollari, segno evidente che la vita umana, a volte e per qualcuno, non ha
proprio alcun valore.
FILIPPO TUCCI
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