martedì 1 aprile 2014

Il sogno "americano" di Melu

IL SOGNO "AMERICANO" DI MELU                                     

Carmelo era un giovane delle nostre parti, nato a Messignadi, un paesino della Piana. nel 1933. La sua famiglia  non navigava nell’oro, ma se la cavava discretamente con l’ attività olearia ed i piccoli commerci.   Il giovane aveva un carattere gioviale e, come si suoleva  dire una volta ,era di compagnia. A vent’anni, però, è inevitabile che ciascuno pensi al proprio futuro e Melu u’ mignotu – come tutti lo chiamavano – sognava l’America.
Fu così che decise di emigrare negli Stati Uniti.
 Approdò a Kansas City , nel Missouri, dove aveva trovato un lavoro e una bella ragazza di nome Marie, che sposò e dalla quale ebbe tre figli. Da buon calabrese, ligio alle tradizioni, volle chiamare i  figli con i nomi dei genitori, onorando così il padre e la madre. Poi Carmelo e la moglie Marie decisero di trasferirsi nelle città di Amarillo, nello Stato del Texas. Li aprirono una “grocery”,  overo un piccolo supermercato alimentare, anche se Carmelo si dedicava pure alla riparazione delle biciclette. La vita scorreva tranquilla, i ragazzi crescevano bene e seguivano gli studi con molto profitto. Sentiva di avere realizzato il suo sogno giovanile, ma sentiva forte il desiderio di realizzare ora il suo sogno “calabrese”, di tornare  cioè nella sua terra d’origine per qualche tempo, di rivedere i suoi parenti e i suo vecchi amici, di riassaporare gli odori e i colori del paesello dove era nato e cresciuto. Rivivere, insomma, il periodo felice della sua adolescenza e della sua prima gioventù.

Quel giorno -  era domenica  27 novembre 1994 -  non sembrava avere niente di speciale : piu’ o meno la solita routine. I coniugi Surace alzarono le serrande e si stavano organizzando per accogliere gli avventori piu’ mattinieri. D’un tratto fecero irruzione nel locale quattro giovani, uno dei quali ( doveva essere il capo del gruppetto) si diresse verso il dispenser della birra con l’intenzione di rubare  qualche lattina. Nel negozio, in quel momento c’erano solo Carmelo e Marie Surace. Carmelo capì subito le intenzioni del gruppetto : stavano cercando di fare una rapina e sua moglie era in pericolo. Affrontò quindi il capo della banda di teppisti, ma questi estrasse da sotto la giacca un fucile  cal.22 a canne mozze e  gli sparò un colpo che lo lascio’  moribondo sul pavimento. La moglie , nel frattempo,  aveva messo sul bancone i soldi che erano nella cassa, circa 52 dollari e, terrorizzata, stava tentando di usare il telefono, inginocchiata sotto il bancone. Venne freddata da un colpo sparato al volto. I giovinastri scapparono portando via delle birre e i pochi dollari. I corpi dei coniugi Surace vennero trovati poco dopo da un cliente, che avvertì la polizia. Carmelo morì qualche ora dopo e la Polizia arrestò subito l’assassino e i suoi complici. Potrebbe finire qui questa storia triste e amara, ma c’è un appendice della quale si parlò a lungo sui giornali americani e che divise molto la pubblica opinione. Ryan Dickson,  questo era il nome del duplice assassino,  all’epoca dei fatti  aveva appena compiuto i 18 anni (era nato infatti 11 novembre 1976). Dopo tutte le fasi procedurali  previste dalla giustizia americana, ed in particolare dello Stato del Texas, ebbe la condanna a due esecuzioni  capitali, in quanto si tennero due distinti processi, uno per la morte di Carmelo Surace e l’altro per la morte della moglie. La sentenza di condanna a morte sollevò molte perplessità e dibattiti sui mass-media  americani  perché si trattava di un ragazzo, appena maggiorenne, ed anche perché negli stessi Stati Uniti c’è un forte movimento di opinione contrario alla pena di morte.
Respinti tutti i ricorsi e rifiutata la grazia da parte del Governatore, la sentenza venne eseguita il 26 aprile 2007.  Erano passati 13 anni. Ci dicono i giornali che nessuno dei familiari delle vittime volle presenziare, come sarebbe stato loro diritto, alla esecuzione del condannato.  Segno, questo, che  non cercavano vendetta, cercavano solo giustizia e forse erano anche contrari alla pena capitale. Quel che conta, alla  fine, è che tre vite umane  sono state stroncate per 4 birre e 52 dollari, segno evidente che la vita umana, a volte e per qualcuno, non ha proprio alcun valore.

FILIPPO TUCCI


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