CONSIDERAZIONI
SULL'INDICE DEL CATASTO ONCIARIO DI MESSIGNADI DELL'ANNO
1746
Innanzitutto
un doveroso ringraziamento va a Pasquale Frisina per aver realizzato
queste tabelle dell'Indice del Catasto di Oppido Mamertina risalenti
all'anno 1746 che ci mostrano i contribuenti e i nuclei familiari
residenti nell'Universitas (o Comune) di Messignadi. Un grazie anche
al vicesindaco Fiorentino Riganò per aver avuto l'idea e alla nostra
Tina Scarcella per averci gentilmente fornito il materiale.
All'epoca, con la Prammatica del 1741 di re Carlo III di Borbone, era
entrato in vigore nel Regno di Napoli il Catasto Onciario ideato da
Bernardo Tanucci. Esso consisteva in un sistema innovativo
centralizzato di tassazione dei vari beni posseduti e dei redditi da
lavoro manuale che si proponeva di sostituire le gabelle e le
tassazioni locali ma che alla fine si rivelò fallimentare poiché
non riuscì ad evitare privilegi e sperequazioni soprattutto a favore
dei ceti privilegiati. L'unità monetaria teorica di riferimento era
l'oncia (quotata a 6 ducati, detta anche oncia di carlini 3) anche se
nella pratica le monete in uso erano i ducati e in questo caso come
sottomultipli vi erano impiegati i tarì e la grana. Le tabelle sono
suddivise in 4 volumi, i prime tre volumi elencano i cittadini
residenti e i non residenti che svolgevano il mestiere o che
possedevano beni nel territorio di Messignadi (bonatenenti), il
quarto volume invece è dedicato ai cittadini ecclesiastici
residenti, agli ecclesiastici bonatenenti e alle strutture religiose
presenti in loco. Le tabelle dei primi tre volumi sono formate da 9
colonne: per quanto riguarda la consultazione nella prima colonna
viene indicato il numero del foglio di riferimento, nella seconda il
nome e cognome della persona (es. uomo capofamiglia, donna vedova,
donna nubile, ragazza vergine), nella terza il nome del paese cioè
Messignadi, nella quarta l'ammontare in once del reddito da industria
(da lavoro), nella quinta il valore in once dei vari beni posseduti
(terreni, abitazioni, bestiame, oggetti di valore), nella sesta la
somma complessiva in once del reddito da lavoro con i vari beni
posseduti, nella settima il numero di persone per fuoco (nucleo
familiare), nell'ottava il mestiere o stato civile o titolo del
contribuente, nella nona infine l'età della persona. Nelle colonne
finali di ciascuno dei primi tre volumi vengono poi riportati tutti i
bilanci totali in once contenuti nei vari fogli. Le due tabelle del
quarto volume, la prima è suddivisa in sette colonne: nella prima
viene indicato il numero del foglio, nella seconda il nome
dell'ecclesiastico o del beneficio o del luogo pio, nella terza il
nome del paese cioè Messignadi, nella quarta il titolo o il
benificiario, nella quinta il valore in once dei beni complessivi,
nella sesta eventuali note, nella settima l'età del religioso. La
seconda tabella del quarto volume è formata da cinque colonne: nella
prima c'è il numero del foglio, nella seconda il nome del luogo pio,
nella terza il nome della località, nella quarta il nome del
religioso titolare, nella quinta la somma dei valori e redditi in
once. Esaminando questi volumi si evince che a Messignadi erano stati
registrati in tutto 174 contribuenti civili, 70 nel primo volume, 64
nel secondo e 30 nel terzo; 5 invece risultano essere i contribuenti
ecclesiastici e 5 i luoghi pii con relativi beni di pertinenza e
rispettivi religiosi titolari. Conteggiando il numero dei membri
indicati come componenti per ciascun fuoco (famiglia) figurano 728
individui che uniti ai 5 ecclesiastici diventano 733. Tale doveva
essere all'incirca il numero degli abitanti a Messignadi nel 1746, a
cui si univano gli altri frati che dimoravano nel Convento Domenicano
di Santa Maria della Palomba (in genere non più di 9 o 10
confratelli) e tutti coloro che eventualmente pur essendo presenti
nel villaggio non erano stati censiti in questa classificazione, che
comunque dovevano essere un esiguo numero. I luoghi pii nominati nel
volume quarto sono il Convento Domenicano di Santa Maria della
Palomba che viene attribuito a frate Raimondo Lucisani, la Cappella
del Venerabile attribuita al reverendo dominus Matteo Iannello, la
Cappella del Crocifisso e Suffragi titolare il reverendo dominus
Giuseppe Laganà (autoctono messignadese), la Chiesa di San
Sebastiano e del Carmine il cui titolare reverendo dominus Gioanne
Leonardo Palumbo viene qualificato come parroco di Messignadi e
infine la Cappella di San Francesco di Paola dove vi ritroviamo come
titolare il già citato reverendo dominus Matteo Iannello.
Dall'elenco degli ecclesiastici risultano altri due sacerdoti: il
reverendo dominus Antonio Germanò che, dai Quaderni Mamertini
scritti dal prof. Rocco Liberti, apprendiamo essere proprio nel 1746
vicario foraneo e il reverendo dominus Matteo Spatafora che, sempre
dai Quaderni Mamertini, apprendiamo essere nel 1772 coadiuvatore del
successivo parroco Nicola Francesco Maggione e nel 1781 diventerà
egli stesso il nuovo parroco di Messignadi, lo Spatafora troverà poi
la morte nel 1783 a causa del terremoto. Stranamente nella tabella
non troviamo alcun riferimento alla Chiesa Parrocchiale Collegiata
intitolata a San Nicola (Niccolò) da Mira, che da noti documenti
sappiamo esistente e operante in Messignadi già nel 1544, mentre
nello stesso elenco risulta presente la Chiesa semplice di San
Sebastiano con la Cappella votiva alla Madonna del Carmine, di solito
affidata ad un procuratore del parroco, ma in questo caso risulta
titolare direttamente il parroco Gioanne Leonardo Palumbo. La Chiesa
di San Sebastiano era ubicata a Messignadi nella località detta
"Sartiano", è stata distrutta dal terribile sisma del 1783
e in seguito non venne più ricostruita. Il contribuente che risulta
concentrare più beni, proprietà e valori naturalmente non poteva
che risultare il Convento Domenicano di Santa Maria della Palomba
(che sarà anch'esso distrutto dal terremoto del 1783), seguito poi
dal massaro Francesco Natale, subito dopo i massari Antonino Di Gori
e Giacomo Punteri, il cacciatore del Principe di Cariati Tommaso
Arcuri e il bracciale Giuseppe Caia. Secondo i dati il più povero
tra gli uomini era l'inabile Nicola Augimeri (tenendo presente che di
alcuni dei cittadini elencati non troviamo indicato nessun reddito e
nessun bene). Il mestiere manuale più diffuso era senza dubbio
quello del bracciale (bracciante agricolo), poi ci sono massari,
custodi di armenti (buoi e cavalli), custodi di vacche, custodi di
neri (maiali?), bovari, legnaioli, un falegname, un ferraro, un
bottegaio, un mulattiere, un pecoraro, un molinaro, un fabbricante,
un sarto, un macellaro e un "cacc. de princ di Cariati".
Fra i vari soggetti elencati erano solo due gli uomini che
esercitavano professioni intellettuali (che in quel sistema fiscale
venivano esentate dalle tasse): lo storico notaio messignadese Giulio
Lemmo, i cui rogiti vanno dall'anno 1731 al 1783 e il suo
coadiuvatore Francesco Giofrè giudice a contratti. Sempre tra gli
iscritti maschi uno risulta cieco, quattro inabili, un inabile
limosinante, due assenti e un assente in Molocchio. Tra le quindici
donne iscritte al registro (delle quali non risultano redditi da
lavoro manuale ma soltanto le once di beni), tredici sono registrate
con lo status di vedova, una nubile e un'altra vergine in capillis.
Dai dati disponibili (molti ci mancano) risultava avere più beni
Girolama Lumbaca vergine in capillis, mentre il patrimonio più
esiguo spettava alla nubile Elisabetta Longo di Tommaso. Dando uno
sguardo all'età di questi nostri compaesani, tra i maschi i più
giovani risultavano essere i tre bracciali Antonio Di Gori, Natale Di
Luna e Vincenzo Brizzì di 14 anni e il più anziano l'inabile
Domenico Punteri di Carlo di 77 anni, tra le femmine la più giovane
era la già menzionata vergine illibata Girolama Lumbaca di 15 anni e
la più anziana la vedova Francesca Sisinni di 64 anni. Esaminando i
cognomi di questi messignadesi che compaiono in tale Indice Catastale
del 1746 possiamo notare che molti di essi ci sono ancora oggi tra
gli attuali abitanti del paese o tra i nostri emigrati in Italia e
nel mondo: Scarcella, Punteri, Riganò, Condello, Scullino, Longo,
Malarbì, Natale, Caia, Corrone, Comperatore, Grillo, Muratore,
Brizzi, Massaro, Lando, Laganà, De Gori, Audino. Figurano inoltre
tantissimi cognomi storici di casati messignadesi ormai estinti tra
cui Guagliardo o Gagliardo (poi mutato in Gagliardi), ovvero il
cognome dei due fratelli messignadesi Giovanni e Stefano Gagliardo o
Galliardo che vengono citati come testimoni nel primo atto in
assoluto dove compare il nome Mesinido (cioè Messignadi) nel 1188,
durante il periodo della dominazione normanna ad Oppido Mamertina.
Attingendo alle preziose informazioni contenute nel libro "Messignadi
Edito ed Inedito" del 1987 scritto da padre Giuseppe Lando
(importante punto di riferimento per tante nostre ricerche), nel 1822
troviamo un Domenico Gagliardi nel ruolo di parroco arciprete-curato
di Messignadi, sempre secondo padre Lando tale famiglia si estinse
negli anni 30 del 1900, l'ultima rappresentante in paese fu Peppina
Gagliardi apprezzata tessitrice. Altro cognome storico non più
presente tra i paesani è Romeo, come il noto fondo agricolo Romeo
che delimita il paese da est ma soprattutto come il sindaco Francesco
Romeo che nel 1655 assieme agli altri eletti e all'intero popolo
riuscì a reperire i fondi necessari per evitare la sopressione del
Convento di Santa Maria della Palomba voluta dalla riforma
predisposta da Papa Innocenzo X. Alla stessa famiglia appartenne
anche Domenico Romeo sindaco della nostra Universitas nel 1674 e
molto probabilmente pure Bartolomeo Romeo nel 1783 vicario generale
del vescovo Nicola Spedaliere, ultimo presule di Oppido "Vecchia",
durante il periodo della forzata assenza di quest'ultimo dalla sede
per gravi motivi di salute. Altri cognomi che si trovano nell'elenco
e citati nelle fonti storiche ma ormai scomparsi sono Redi, Carbone,
Spusato, Afflitto che nel 1655, secondo le fonti a nostra
disposizione, identificavano alcuni delegati eletti nell'Universitas di
Messignadi. Per quanto riguarda il casato Afflitto, secondo un
documento del 1652 Marco Afflitto era il nome del paesano su cui,
dinanzi all'amministrazione comunale, gravava l'onere di versare 84
ducati per scongiurare la chiusura del Convento. Tra i cognomi
spariti non possiamo non citare La Torre, Aracri e Martello che (da
quanto riportato dal Liberti) identificano alcuni dei protagonisti e
testimoni di una violenta lite avvenuta nel 1768 tra il reverendo
dominus Vincenzo Malarbì e il padre Giacomo Anania dei Minimi,
finita poi in tribunale. Fra vari i cognomi presenti in questo
documento diversi mostrano una chiara origine greca, altri una sicura
origine latina, alcuni farebbero trasparire una probabile derivazione
ebraica e altri ancora una radice normanna. Completamente assenti
famiglie che invece oggi sono molto numerose e attive come i Surace,
Pardo, Martino, Madafferi, Brancati, Marcianò, Managò, Misale
eccetera, per questo motivo possiamo affermare che nel 1746 ancora non si fossero
stabilite nel nostro paesino. Per quanto riguarda i nomi propri delle
persone comprese nell'elenco tra gli uomini erano molto diffusi
Domenico (come San Domenico di Guzmàn fondatore dei Padri
Predicatori, ordine a cui appartenevano i frati messignadesi),
Francesco (come San Francesco di Paola), Giuseppe (San Giuseppe) e
Antonino, tra le donne prevalevano Caterina, Elisabetta e Francesca.
Solo tre persone portavano il nome Vincenzo mentre oggi è senza
dubbio il più diffuso tra i nostri compaesani. Da qui possiamo
dedurre che all'epoca in questo piccolo centro abitato era molto
forte la devozione verso altri santi, in particolare a San Francesco
di Paola di cui vi era la cappella a lui consacrata nella Chiesa
Parrocchiale di San Nicola. Sempre in onore del santo di Paola in
tale cappella aveva sede un'attiva confraternita ai cui adepti nel
1628 il Liberti ci documenta che "il Papa venne a concedere
indulgenze da usufruirsi nelle ricorrenze delle festività di San
Francesco medesimo, domenica in Albis, IIª domenica dopo
Resurrezione, San Giovanni Evangelista e Iª domenica di marzo. Della
Cappella presente in atti notarili tra il 1726 e il 1745, ne
risultava procuratore quasi sempre il parroco pro-tempore". Il
culto di San Vincenzo Ferreri che oggi accompagna indiscutibilmente
la vita di ogni messignadese si è diffuso quindi solo dopo il Grande
Flagello. Senza dubbio tutto è dovuto al miracoloso ritrovamento tra
le rovine del distrutto Convento da parte di alcuni contadini della
splendida statua lignea intatta del santo domenicano spagnolo
(risalente alla prima metà del 1500 opera di artista napoletano). La
statua venne così collocata dentro la chiesa parrocchiale e San
Vincenzo Ferreri divenne in breve tempo il protettore indiscusso di
tutta la comunità oltre che il simbolo della rinascita e del
riscatto messignadese in ogni tempo e in qualsiasi circostanza.
MIRKO
TUCCI
©️
MESSIGNADI nel tempo, 2025
ha
collaborato: GIUSEPPINA
CONDELLO TUCCI
ha
fornito il materiale per questo approfondimento: TINA
SCARCELLA
tabelle
elaborate da: PASQUALE
FRISINA
da
un'idea di: FIORENTINO
RIGANÒ vicesindaco
del Comune di Oppido Mamertina