domenica 16 febbraio 2025

CONSIDERAZIONI SULL'INDICE DEL CATASTO ONCIARIO DI MESSIGNADI DELL'ANNO 1746

CONSIDERAZIONI SULL'INDICE DEL CATASTO ONCIARIO DI MESSIGNADI DELL'ANNO 1746

Innanzitutto un doveroso ringraziamento va a Pasquale Frisina per aver realizzato queste tabelle dell'Indice del Catasto di Oppido Mamertina risalenti all'anno 1746 che ci mostrano i contribuenti e i nuclei familiari residenti nell'Universitas (o Comune) di Messignadi. Un grazie anche al vicesindaco Fiorentino Riganò per aver avuto l'idea e alla nostra Tina Scarcella per averci gentilmente fornito il materiale. All'epoca, con la Prammatica del 1741 di re Carlo III di Borbone, era entrato in vigore nel Regno di Napoli il Catasto Onciario ideato da Bernardo Tanucci. Esso consisteva in un sistema innovativo centralizzato di tassazione dei vari beni posseduti e dei redditi da lavoro manuale che si proponeva di sostituire le gabelle e le tassazioni locali ma che alla fine si rivelò fallimentare poiché non riuscì ad evitare privilegi e sperequazioni soprattutto a favore dei ceti privilegiati. L'unità monetaria teorica di riferimento era l'oncia (quotata a 6 ducati, detta anche oncia di carlini 3) anche se nella pratica le monete in uso erano i ducati e in questo caso come sottomultipli vi erano impiegati i tarì e la grana. Le tabelle sono suddivise in 4 volumi, i prime tre volumi elencano i cittadini residenti e i non residenti che svolgevano il mestiere o che possedevano beni nel territorio di Messignadi (bonatenenti), il quarto volume invece è dedicato ai cittadini ecclesiastici residenti, agli ecclesiastici bonatenenti e alle strutture religiose presenti in loco. Le tabelle dei primi tre volumi sono formate da 9 colonne: per quanto riguarda la consultazione nella prima colonna viene indicato il numero del foglio di riferimento, nella seconda il nome e cognome della persona (es. uomo capofamiglia, donna vedova, donna nubile, ragazza vergine), nella terza il nome del paese cioè Messignadi, nella quarta l'ammontare in once del reddito da industria (da lavoro), nella quinta il valore in once dei vari beni posseduti (terreni, abitazioni, bestiame, oggetti di valore), nella sesta la somma complessiva in once del reddito da lavoro con i vari beni posseduti, nella settima il numero di persone per fuoco (nucleo familiare), nell'ottava il mestiere o stato civile o titolo del contribuente, nella nona infine l'età della persona. Nelle colonne finali di ciascuno dei primi tre volumi vengono poi riportati tutti i bilanci totali in once contenuti nei vari fogli. Le due tabelle del quarto volume, la prima è suddivisa in sette colonne: nella prima viene indicato il numero del foglio, nella seconda il nome dell'ecclesiastico o del beneficio o del luogo pio, nella terza il nome del paese cioè Messignadi, nella quarta il titolo o il benificiario, nella quinta il valore in once dei beni complessivi, nella sesta eventuali note, nella settima l'età del religioso. La seconda tabella del quarto volume è formata da cinque colonne: nella prima c'è il numero del foglio, nella seconda il nome del luogo pio, nella terza il nome della località, nella quarta il nome del religioso titolare, nella quinta la somma dei valori e redditi in once. Esaminando questi volumi si evince che a Messignadi erano stati registrati in tutto 174 contribuenti civili, 70 nel primo volume, 64 nel secondo e 30 nel terzo; 5 invece risultano essere i contribuenti ecclesiastici e 5 i luoghi pii con relativi beni di pertinenza e rispettivi religiosi titolari. Conteggiando il numero dei membri indicati come componenti per ciascun fuoco (famiglia) figurano 728 individui che uniti ai 5 ecclesiastici diventano 733. Tale doveva essere all'incirca il numero degli abitanti a Messignadi nel 1746, a cui si univano gli altri frati che dimoravano nel Convento Domenicano di Santa Maria della Palomba (in genere non più di 9 o 10 confratelli) e tutti coloro che eventualmente pur essendo presenti nel villaggio non erano stati censiti in questa classificazione, che comunque dovevano essere un esiguo numero. I luoghi pii nominati nel volume quarto sono il Convento Domenicano di Santa Maria della Palomba che viene attribuito a frate Raimondo Lucisani, la Cappella del Venerabile attribuita al reverendo dominus Matteo Iannello, la Cappella del Crocifisso e Suffragi titolare il reverendo dominus Giuseppe Laganà (autoctono messignadese), la Chiesa di San Sebastiano e del Carmine il cui titolare reverendo dominus Gioanne Leonardo Palumbo viene qualificato come parroco di Messignadi e infine la Cappella di San Francesco di Paola dove vi ritroviamo come titolare il già citato reverendo dominus Matteo Iannello. Dall'elenco degli ecclesiastici risultano altri due sacerdoti: il reverendo dominus Antonio Germanò che, dai Quaderni Mamertini scritti dal prof. Rocco Liberti, apprendiamo essere proprio nel 1746 vicario foraneo e il reverendo dominus Matteo Spatafora che, sempre dai Quaderni Mamertini, apprendiamo essere nel 1772 coadiuvatore del successivo parroco Nicola Francesco Maggione e nel 1781 diventerà egli stesso il nuovo parroco di Messignadi, lo Spatafora troverà poi la morte nel 1783 a causa del terremoto. Stranamente nella tabella non troviamo alcun riferimento alla Chiesa Parrocchiale Collegiata intitolata a San Nicola (Niccolò) da Mira, che da noti documenti sappiamo esistente e operante in Messignadi già nel 1544, mentre nello stesso elenco risulta presente la Chiesa semplice di San Sebastiano con la Cappella votiva alla Madonna del Carmine, di solito affidata ad un procuratore del parroco, ma in questo caso risulta titolare direttamente il parroco Gioanne Leonardo Palumbo. La Chiesa di San Sebastiano era ubicata a Messignadi nella località detta "Sartiano", è stata distrutta dal terribile sisma del 1783 e in seguito non venne più ricostruita. Il contribuente che risulta concentrare più beni, proprietà e valori naturalmente non poteva che risultare il Convento Domenicano di Santa Maria della Palomba (che sarà anch'esso distrutto dal terremoto del 1783), seguito poi dal massaro Francesco Natale, subito dopo i massari Antonino Di Gori e Giacomo Punteri, il cacciatore del Principe di Cariati Tommaso Arcuri e il bracciale Giuseppe Caia. Secondo i dati il più povero tra gli uomini era l'inabile Nicola Augimeri (tenendo presente che di alcuni dei cittadini elencati non troviamo indicato nessun reddito e nessun bene). Il mestiere manuale più diffuso era senza dubbio quello del bracciale (bracciante agricolo), poi ci sono massari, custodi di armenti (buoi e cavalli), custodi di vacche, custodi di neri (maiali?), bovari, legnaioli, un falegname, un ferraro, un bottegaio, un mulattiere, un pecoraro, un molinaro, un fabbricante, un sarto, un macellaro e un "cacc. de princ di Cariati". Fra i vari soggetti elencati erano solo due gli uomini che esercitavano professioni intellettuali (che in quel sistema fiscale venivano esentate dalle tasse): lo storico notaio messignadese Giulio Lemmo, i cui rogiti vanno dall'anno 1731 al 1783 e il suo coadiuvatore Francesco Giofrè giudice a contratti. Sempre tra gli iscritti maschi uno risulta cieco, quattro inabili, un inabile limosinante, due assenti e un assente in Molocchio. Tra le quindici donne iscritte al registro (delle quali non risultano redditi da lavoro manuale ma soltanto le once di beni), tredici sono registrate con lo status di vedova, una nubile e un'altra vergine in capillis. Dai dati disponibili (molti ci mancano) risultava avere più beni Girolama Lumbaca vergine in capillis, mentre il patrimonio più esiguo spettava alla nubile Elisabetta Longo di Tommaso. Dando uno sguardo all'età di questi nostri compaesani, tra i maschi i più giovani risultavano essere i tre bracciali Antonio Di Gori, Natale Di Luna e Vincenzo Brizzì di 14 anni e il più anziano l'inabile Domenico Punteri di Carlo di 77 anni, tra le femmine la più giovane era la già menzionata vergine illibata Girolama Lumbaca di 15 anni e la più anziana la vedova Francesca Sisinni di 64 anni. Esaminando i cognomi di questi messignadesi che compaiono in tale Indice Catastale del 1746 possiamo notare che molti di essi ci sono ancora oggi tra gli attuali abitanti del paese o tra i nostri emigrati in Italia e nel mondo: Scarcella, Punteri, Riganò, Condello, Scullino, Longo, Malarbì, Natale, Caia, Corrone, Comperatore, Grillo, Muratore, Brizzi, Massaro, Lando, Laganà, De Gori, Audino. Figurano inoltre tantissimi cognomi storici di casati messignadesi ormai estinti tra cui Guagliardo o Gagliardo (poi mutato in Gagliardi), ovvero il cognome dei due fratelli messignadesi Giovanni e Stefano Gagliardo o Galliardo che vengono citati come testimoni nel primo atto in assoluto dove compare il nome Mesinido (cioè Messignadi) nel 1188, durante il periodo della dominazione normanna ad Oppido Mamertina. Attingendo alle preziose informazioni contenute nel libro "Messignadi Edito ed Inedito" del 1987 scritto da padre Giuseppe Lando (importante punto di riferimento per tante nostre ricerche), nel 1822 troviamo un Domenico Gagliardi nel ruolo di parroco arciprete-curato di Messignadi, sempre secondo padre Lando tale famiglia si estinse negli anni 30 del 1900, l'ultima rappresentante in paese fu Peppina Gagliardi apprezzata tessitrice. Altro cognome storico non più presente tra i paesani è Romeo, come il noto fondo agricolo Romeo che delimita il paese da est ma soprattutto come il sindaco Francesco Romeo che nel 1655 assieme agli altri eletti e all'intero popolo riuscì a reperire i fondi necessari per evitare la sopressione del Convento di Santa Maria della Palomba voluta dalla riforma predisposta da Papa Innocenzo X. Alla stessa famiglia appartenne anche Domenico Romeo sindaco della nostra Universitas nel 1674 e molto probabilmente pure Bartolomeo Romeo nel 1783 vicario generale del vescovo Nicola Spedaliere, ultimo presule di Oppido "Vecchia", durante il periodo della forzata assenza di quest'ultimo dalla sede per gravi motivi di salute. Altri cognomi che si trovano nell'elenco e citati nelle fonti storiche ma ormai scomparsi sono Redi, Carbone, Spusato, Afflitto che nel 1655, secondo le fonti a nostra disposizione, identificavano alcuni delegati eletti nell'Universitas di Messignadi. Per quanto riguarda il casato Afflitto, secondo un documento del 1652 Marco Afflitto era il nome del paesano su cui, dinanzi all'amministrazione comunale, gravava l'onere di versare 84 ducati per scongiurare la chiusura del Convento. Tra i cognomi spariti non possiamo non citare La Torre, Aracri e Martello che (da quanto riportato dal Liberti) identificano alcuni dei protagonisti e testimoni di una violenta lite avvenuta nel 1768 tra il reverendo dominus Vincenzo Malarbì e il padre Giacomo Anania dei Minimi, finita poi in tribunale. Fra vari i cognomi presenti in questo documento diversi mostrano una chiara origine greca, altri una sicura origine latina, alcuni farebbero trasparire una probabile derivazione ebraica e altri ancora una radice normanna. Completamente assenti famiglie che invece oggi sono molto numerose e attive come i Surace, Pardo, Martino, Madafferi, Brancati, Marcianò, Managò, Misale eccetera, per questo motivo possiamo affermare che nel 1746 ancora non si fossero stabilite nel nostro paesino. Per quanto riguarda i nomi propri delle persone comprese nell'elenco tra gli uomini erano molto diffusi Domenico (come San Domenico di Guzmàn fondatore dei Padri Predicatori, ordine a cui appartenevano i frati messignadesi), Francesco (come San Francesco di Paola), Giuseppe (San Giuseppe) e Antonino, tra le donne prevalevano Caterina, Elisabetta e Francesca. Solo tre persone portavano il nome Vincenzo mentre oggi è senza dubbio il più diffuso tra i nostri compaesani. Da qui possiamo dedurre che all'epoca in questo piccolo centro abitato era molto forte la devozione verso altri santi, in particolare a San Francesco di Paola di cui vi era la cappella a lui consacrata nella Chiesa Parrocchiale di San Nicola. Sempre in onore del santo di Paola in tale cappella aveva sede un'attiva confraternita ai cui adepti nel 1628 il Liberti ci documenta che "il Papa venne a concedere indulgenze da usufruirsi nelle ricorrenze delle festività di San Francesco medesimo, domenica in Albis, IIª domenica dopo Resurrezione, San Giovanni Evangelista e Iª domenica di marzo. Della Cappella presente in atti notarili tra il 1726 e il 1745, ne risultava procuratore quasi sempre il parroco pro-tempore". Il culto di San Vincenzo Ferreri che oggi accompagna indiscutibilmente la vita di ogni messignadese si è diffuso quindi solo dopo il Grande Flagello. Senza dubbio tutto è dovuto al miracoloso ritrovamento tra le rovine del distrutto Convento da parte di alcuni contadini della splendida statua lignea intatta del santo domenicano spagnolo (risalente alla prima metà del 1500 opera di artista napoletano). La statua venne così collocata dentro la chiesa parrocchiale e San Vincenzo Ferreri divenne in breve tempo il protettore indiscusso di tutta la comunità oltre che il simbolo della rinascita e del riscatto messignadese in ogni tempo e in qualsiasi circostanza.

MIRKO TUCCI


©️ MESSIGNADI nel tempo, 2025

ha collaboratoGIUSEPPINA CONDELLO TUCCI

ha fornito il materiale per questo approfondimento: TINA SCARCELLA 

tabelle elaborate da: PASQUALE FRISINA 

da un'idea di: FIORENTINO RIGANÒ vicesindaco del Comune di Oppido Mamertina 



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